Chiarimento sull’esperienza di riconciliazione con il passato. (1)
Quest’esperienza ha l’obiettivo di far ritrovare quel momento del passato a cui una persona attribuisce un carattere totalmente negativo. Tutti, in genere, ne hanno uno. Quando ritrovo quel momento, appaiono i “colpevoli” della mia apparente sconfitta. E’ qui che si trova una delle fonti delle mie frustrazioni, dei miei risentimenti, del mio senso di colpa e, a volte, della mia autocompassione. Se riesco a mettere a fuoco in maniera diversa l’apparente « grande errore » della mia vita, se riesco a guardarlo da un altro punto di vista, il mio processo affettivo e, in generale, il mio processo esistenziale acquistano maggiore coerenza ed unità.
Questo è un chiaro esempio di meditazione dinamica sul passato che propone inoltre una formula pratica di riconciliazione con se stessi.
Sono in piedi davanti a una specie di tribunale. La sala, gremita di pubblico, è immersa nel silenzio. Vedo dovunque dei volti severi. Rompendo la tremenda tensione che si è accumulata tra i presenti, il Segretario, aggiustandosi gli occhiali, prende un foglio di carta e annuncia solennemente: “Questo Tribunale condanna l’imputato alla pena di morte.”
Subito si leva uno schiamazzo. Chi applaude, chi disapprova. Riesco a vedere una donna che cade svenuta. Poi un funzionario riesce ad imporre il silenzio.
Il Segretario mi fissa torvo, mentre mi chiede: “Ha qualcosa da dire?” Gli rispondo di sì. Allora tutti si rimettono a sedere. Subito dopo chiedo un bicchiere d’acqua e, passata una certa agitazione nella sala, qualcuno me lo porge. Lo porto alle labbra e bevo un sorso. Concludo l’azione con un sonoro e prolungato gargarismo. Poi dico: “Ecco fatto!”
Uno del Tribunale mi redarguisce aspramente: “Come sarebbe a dire, ecco fatto?”
Gli rispondo: proprio così, ecco fatto. In ogni modo, per farlo contento, gli dico che l’acqua del luogo è molto buona, chi l’avrebbe mai detto, e due o tre cosette gentili del genere…
Il Segretario finisce di leggere con queste parole: “…di conseguenza, la sentenza verrà eseguita oggi stesso, lasciandolo in pieno deserto senza cibo né acqua. Soprattutto senz’acqua. Ho detto!” Gli rispondo con forza: “Come sarebbe a dire, ho detto?” Inarcando le sopracciglia il Segretario afferma: “Quello che ho detto ho detto!”
Di lì a poco mi ritrovo su un mezzo di trasporto, scortato da due pompieri. Ad un certo punto ci fermiamo e uno di loro mi fa: “Scenda!” Io scendo. Il mezzo gira e ritorna da dove era venuto. Lo vedo rimpicciolirsi sempre di più, a mano a mano che si allontana tra le dune.
Il sole sta tramontando, ma è sempre forte. Comincio ad avere una gran sete. Mi levo la camicia e me la metto sulla testa. Mi guardo attorno. Vedo nelle vicinanze un avvallamento accanto a delle dune. Mi dirigo da quella parte, mettendomi a sedere nell’angusto spazio d’ombra proiettato dal pendio.
L’aria si agita vivacemente, sollevando una nube di sabbia che oscura il sole. Esco dall’avvallamento nel timore di venire seppellito se il fenomeno di accentuasse. I granelli di sabbia mi colpiscono la schiena nuda come raffiche di mitraglia vetrosa. In breve tempo la violenza del vento mi butta a terra.
La tempesta è passata, il sole è tramontato. Nel crepuscolo scorgo davanti a me un emisfero biancastro, grande come un edificio di vari piani. Penso che possa trattarsi di un miraggio, tuttavia mi alzo dirigendomi da quella parte. A brevissima distanza mi accorgo che la struttura è fatta di un materiale chiaro, come una plastica rilucente, forse ripiena di aria compressa.
Mi riceve un tale vestito secondo l’usanza beduina. Entriamo lungo un tubo rivestito di tappeti. Scorre un pannello metallico e allo stesso tempo mi investe l’aria fresca. Siamo all’interno della struttura. Vedo che tutto è alla rovescia. Si direbbe che il soffitto sia un pavimento piano, dal quale pendono diversi oggetti: tavoli rotondi con le zampe all’aria; acque che, cadendo in zampilli, si incurvano e risalgono e forme umane sedute in alto.
Accorgendosi del mio stupore il beduino mi porge un paio di occhiali, dicendo: “Se li metta!” Io obbedisco e si ristabilisce la normalità. Di fronte vedo una grande fontana che emette getti d’acqua verticali. Ci sono dei tavoli e vari oggetti, squisita mente combinati tra loro nei colori e nelle forme.
Mi si accosta gattoni il Segretario. Dice di sentirsi orribilmente male di stomaco. Gli spiego che sta vedendo la realtà alla rovescia e che deve togliersi gli occhiali. Se li toglie, si alza in piedi sospirando e dice: “Effettivamente ora è tutto a posto, solo che ho la vista corta.” Poi aggiunge che mi stava cercando per spiegarmi che non sono io la persona che doveva giudicare, che c’è stata una deplorevole confusione. Quindi tutto a un tratto esce da una porta laterale.
Faccio alcuni passi e vengo a trovarmi con un gruppo di persone sedute in cerchio su dei grossi cuscini. Sono dei vecchi di ambo i sessi, con caratteristiche razziali e indumenti diversi. Hanno tutti dei bei visi. Ogni volta che uno di loro apre la bocca, ne escono suoni come di ingranaggi lontani, di macchine gigantesche, di immensi orologi. Ma posso anche sentire il rombo di tuoni intermittenti, lo scricchiolio dei massi, il distacco dei blocchi di ghiaccio, il ritmico ruggito dei vulcani, il breve impatto della pioggia gentile, il sordo agitarsi dei cuori; il motore, il muscolo, la vita… ma tutto questo armonizzato e perfetto, come in una magistrale orchestra.
Il beduino mi porge degli auricolari dicendo: “Se li metta. C’è la traduzione.” Io me li metto e sento con chiarezza una voce umana. Mi rendo conto che si tratta della stessa sinfonia di uno di quei vecchi, tradotta per il torpido udito. Adesso, mentre lui apre la bocca, io posso ascoltare: “…Siamo le ore, siamo i minuti, siamo i secondi… Siamo le diverse forme del tempo. Poiché con te è stato commesso un errore, ti daremo l’opportunità di ricominciare
di nuovo la tua vita. Da dove vuoi ricominciarla? Forse dal momento della nascita… forse da un istante prima del tuo primo fallimento. Pensaci.” (*)
Ho cercato di ricordare il momento in cui ho perduto il controllo della mia vita. Lo spiego al vecchio. (*)
“Benissimo” mi dice. “E come farai, se ritorni indietro a quel momento, a prendere una direzione differente? Pensa che non ricorderai quello che viene dopo.”
“Ma esiste un’altra alternativa” soggiunge. “Puoi tornare al momento del più grande errore della tua vita e, senza cambiare i fatti, puoi cambiarne i significati. In questo modo puoi rifarti una vita.”
Nel momento stesso in cui il vecchio tace, vedo che tutto intorno a me si inverte in luci e colori, come se si trasformasse nel negativo di una pellicola… finché tutto ritorna normale. Ma mi trovo nel momento del grande errore della mia vita.” (*)
Sono lì, spinto a commettere l’errore. E perché sono costretto a farlo? (*)
Non ci saranno altri fattori che influiscono e che io non voglio vedere? A che cosa si deve l’errore fondamentale? Cosa dovrei fare invece? Se non commetto quell’errore, cambierà lo schema della mia vita, e questa sarà migliore o peggiore? (*)
Cerco di convincermi che le circostanze che agiscono non possono essere modificate e accetto tutto come un evento natura le: come un terremoto o un fiume che, straripando dal suo letto, distrugge il lavoro e le case degli abitanti. (*)
Mi sforzo di accettare il fatto che nelle calamità non ci sono colpevoli. Né la mia debolezza, né i miei eccessi, né le intenzioni altrui possono essere diversi in questo caso. (*)
So che se adesso non mi riconcilio, la frustrazione continuerà a trascinarsi nella mia vita futura. Allora, con tutto il mio essere, perdono e mi perdono. Ammetto che quello che è successo sfugge al controllo mio e di chiunque altro. (*)
La scena comincia a deformarsi, mentre si invertono i chiaroscuri come in un negativo fotografico. Nello stesso tempo sento la voce che mi dice: “Se puoi riconciliarti con il tuo più grande errore, la tua frustrazione morirà e avrai cambiato il tuo destino.” Sono in piedi in mezzo al deserto. Vedo avvicinarsi un’auto. Grido: “Taxi!” Subito dopo sono comodamente seduto sul sedile
posteriore. Guardo l’autista che è vestito da pompiere e gli dico: “Mi porti a casa… senza fretta, così avrò il tempo di cambiarmi d’abito.” Penso: “A chi non è capitato qualcosa di storto? Credo di essere migliore di quanto pensassi prima e, quel che più conta, ho davanti tutto l’avvenire per dimostrarlo.”
Raccomandazione. (1)
Si raccomanda di ricostruire tutti i giorni l’esperienza ed in particolare la parte di essa relativa al ritorno alla situazione di grande fallimento. Esaminare poi tutti i fattori che hanno agito in quel momento e cercare di comprendere quanto c’era di accidentale nelle circostanze che mi hanno spinto in quella direzione. In questa pratica appaiono per lo meno quattro tipi di resistenze:
- impossibilità di trovare il momento o la situazione del «grande errore »;
- impossibilità di comprendere che proprio grazie ad esso, ho potuto ottenere altri risultati ed arrivare al momento attuale;
- impossibilità di considerare che, proprio grazie ai problemi che ho individuato, sono stato in grado di evitare situazioni che avrebbero potuto essere ancora più gravi;
- impossibilità di considerare le situazioni relative al « grande errore » come fatti accidentali che sfuggivano ad ogni tipo di controllo sia mio che di quelle persone alle q uali attribuisco la colpa del fallimento.
Le resistenze menzionate dovrebbero essere meditate, oltre che durante l’esperienza, anche nella vita di tutti i giorni, cercando di verificare se si riesce a cambiare il proprio punto di vista sulla situazione attuale, grazie alla riconciliazione con il passato.
Nota dell’autore
La scena dei pompieri come agenti ed esecutori della giustizia si ispira a Fahrenheit 451 di Bradbury. In questo caso, l’immagine è usata per creare un contrasto con la pena di morte per sete nel deserto. La stessa idea permette di sviluppare la situazione assurda di un giudizio in cui l’imputato, anziché scaricare la sua presunta colpa, “carica” la propria bocca con un sorso d’acqua.
Quando il Segretario conclude: “Quello che ho detto ho detto!”, altro non fa che adeguarsi alle parole di Pilato, richiamando quell’altro giudizio surreale.
I vecchi che personificano le ore si ispirano all’Apocalisse di Lawrence.
Il tema degli occhiali invertitori è molto noto nella psicologia sperimentale ed è stato citato, fra gli altri, da Merleau-Ponty ne La struttura del comportamento.
Nota (1). La scena dei pompieri come agenti ed esecutori della giustizia è ispirata al racconto «Farenheit 451 » di Bradbury, mentre i vecchi, come personificazioni del tempo, ricordano «Apocalisse» di Lawrence.
A proposito di questa esperienza, riportiamo il seguente commento fatto da una signora centro-americana: «Per molto tempo ho continuato a credere che la mia vita sarebbe stata diversa se avessi avuto una relazione con “X”.Ora comprendo che sicuramente essa sarebbe stata diversa, ma anche che forse non sarebbe stata migliore. In ogni modo, ho chiaro che devo costruire la mia vita attenendomi alla situazione reale in cui vivo e non a ciò che immagino sarebbe stato « meglio ».
N.d. redazione: il testo segnato con (1) relativo ai chiarimenti, raccomandazioni e note era presente nella edizione del 1980, l’autore nella revisione eseguita nel 1988, lo ha sostituito con le attuali note. Il libro è stato così pubblicato nel 1989 in 16 lingue.
La redazione ha pubblicato il succitato testo originario in quanto permette un’ approfondimento delle narrazioni e dei giochi di immagine, non solo come opere letterarie, ma come “modello di meditazione dinamica, il cui oggetto è la vita di chi medita e la cui intenzione è individuare e superare i conflitti.
Le esperienze guidate permettono, a coloro che le praticano,di riconciliarsi con se stessi, superando le frustrazioni ed i risentimenti passati, ordinando le attività presenti e dando al futuro un senso che elimini le angosce, i timori ed il disorientamento.