Galleria Immagini

La sezione IMMAGINI è costituita da un compendio da una “galleria” di tutte le illustrazioni presenti nel libro di Morfologia, corredate da note descrittive sulle radici mitologiche di alcune immagini appartenenti al patrimonio figurativo di differenti culture. La ricerca è stata eseguita da un’equipe di studenti che hanno partecipato al corso di Simboli, Segni ed Allegorie svoltosi a Roma ed a Firenze.

Fig. 3. Insieme litico di Stonehenge, Wiltshire (Gran Bretagna)

Dati storici:

Si tratta probabilmente di un tempio preistorico dedicato al culto del sole, che doveva servire anche da calendario astronomico e che risale almeno al 3800 a. C. Alcune sette moderne che si rifanno alle antiche tradizioni celtiche (che sono comunque molto più tarde della sua costruzione) vi svolgono ancora oggi il rituale dell'estrazione della spada nella roccia, quando i raggi del sole toccano un determinato punto, filtrando dallo spiraglio posto sotto la roccia più alta.

Interpretazioni naturalistiche:

La spada e la roccia all'interno del cerchio sacro possono rappresentare gli elementi dualistici della natura, in particolare il sole (come raggio) e la terra, ma anche il principio maschile (attivo e fecondatore) e quello femminile (passivo e generatore), da cui periodicamente rinasce la vita in concomitanza con il volgere del ciclo annuale, rappresentato e misurato dal circolo delle pietre, in base alla posizione del sole.

Fig. 5. La Chimera di Arezzo. Museo Archeologico di Firenze (Italia)

Dati storici:

La scultura di Arezzo che rappresenta la Chimera è un manufatto della civiltà etrusca, che subì l’influsso della cultura greca attraverso le sue colonie nel Sud Italia.  

Miti relativi:

La Chimera era una creatura ibrida della mitologia greca, generata dal drago Tifone e dalla mostruosa ninfa Echidna. Le sue tre teste di leone, drago e serpente vomitavano fiamme e certi studiosi la considerano una personificazione di un vulcano della Licia, la regione in cui era ambientato il mito e che fu devastata da questo mostro finché non lo uccise l’eroe Bellerofonte in groppa al cavallo alato Pegaso. 

Interpretazioni storiche:

Data la sua discendenza da un tipo di creature adorate in epoche più antiche come personificazioni della natura e successivamente demonizzate, la Chimera può essere considerata una delle tante figure derivate dai culti matriarcali e poi eliminate dagli eroi maschili che li sostituirono. 

Fig. 6. Giara mixteca. Museo Nazionale di Antropologia (Messico)

Dati storici:

Tra le popolazioni del Messico precolombiano, aquile e serpenti tendono a fondersi insieme in figure in cui sono presenti elementi di entrambi, come il Serpente Alato Quetzalcoatl. 

Fig. 7. Geroglifici. Tomba di Pachedu. Dinastia XX^. Deir El Medineh (Egitto)

Dati storici:

E’ un particolare dei dipinti che adornano una tomba nei pressi di Tebe. 

Miti relativi:

Il defunto è ritratto ai piedi di una palma da dattero nell’atto di bere l’acqua che dovrà rigenerarlo.

Interpretazioni tradizionali:

La palma per gli Egizi era un simbolo di fertilità.

Fig. 9. Piccolo Gudea seduto. Lagash, Mesopotamia. (Louvre, Parigi - Francia)

Dati storici:

Gudea era il sovrano sumero che regnò sulla città di Lagash intorno al 2130 a.C. 

Fig. 12. Rappresentazioni del cosmo, secolo XVIII^. Rajasthan, (India)

Interpretazioni tradizionali:

La croce semplice che divide i cerchi esterni in quattro quadranti rappresenta il campo della manifestazione, che partendo dal centro si estende nelle quattro direzioni dello spazio, prendendo la forma dei quattro elementi percettibili. Al centro si nota il simbolo della svastica che genera un labirinto. Ciò si riferisce alla non linearità della conoscenza del Trascendente, che essendo al di fuori della logica umana, non può essere raggiunta in modo diretto, ma solo indirettamente, attraverso il percorso della mano destra (maschile, conflittuale, scientifico) o quello della mano sinistra (femminile, armonico, intuitivo), indicati dalle due direzioni in cui si possono piegare le braccia della svastica (sintetizzato da Alain Daniélou, “Miti e Dèi dell’India”)

Fig. 13. Ombrello Sacro. Secolo XIX^. Rajasthan, (India)

Interpretazioni mistiche ipotetiche:

Il triangolo si direbbe una rappresentazione della montagna cosmica (vedi nota alla figura 103) che nelle tradizioni di molti popoli costituisce sia il punto di riferimento attorno a cui ruota la società, che una sorta di “scala” verso una realtà più “alta”. I molteplici punti alla sua base che convergono nel vertice, rappresentano l’unità degli individui in un ideale collettivo (personificato da un dio supremo, un re, ecc.), oppure l’identificazione di ognuno con lo spirito universale. La “strada” che unisce il triangolo al rettangolo al di sotto, potrebbe essere un simbolo del percorso che unisce il mondo fisico a quello spirituale. 

Fig. 14. Leone Alato Dinastia Sung. British Museum, Londra (Inghilterra)

Interpretazioni tradizionali:

La rappresentazione di animali alati è tipica dell’iconografia cinese (vedi i vari draghi, le fenici, ecc.) e si riferisce in generale agli spiriti del mondo naturale.

Fig. 15. Pazuzu. Demone assiro. Museo del Louvre, Parigi. (Francia)

Miti relativi:

Demone di probabile derivazione sumera. Era la personificazione del vento del sud-ovest, considerato apportatore di pestilenze, e regnava sugli spiriti maligni dell’aria, ma aveva l’incarico di tenerli a freno quando volevano tormentare gli uomini. Poiché si riteneva che proteggesse dalla peste e dalle forze del male era adorato dai babilonesi. In particolare neutralizzava i poteri della dea Lamashtu, il demone che in forma di incubo o di febbre interrompeva la gravidanza delle donne e portava via i loro bambini.

Paralleli culturali:

Le quattro ali erano tipiche di tutti gli spiriti dell’aria assiro-babilonesi, da cui deriva poi l’iconografia ebraica e cristiana dei serafini e degli angeli in generale.

Fig. 16. Centauro e Eros. Museo del Louvre, Parigi (Francia)

Miti relativi:

I Centauri erano un mitico popolo di soli maschi, metà uomini e metà cavalli, armati di clave e archi e dai modi selvaggi e violenti, che sarebbero vissuti sui monti della Tessaglia. Il loro capostipite, Centauro, figlio del re Issione e dalla nuvola Nefele, li avrebbe generati accoppiandosi con delle cavalle, ma spesso i suoi figli rapivano anche donne umane.

Interpretazioni naturalistiche e storiche:

I Centauri sono considerati simboli degli uragani che imperversano sulla Tessaglia, ma possono anche essere derivati dai primi incontri di popolazioni agricole con dei guerrieri nomadi a cavallo.

Fig. 17. Ashura. Secolo VIII^ (Giappone)

Miti relativi:

Negli antichi testi vedici dell’India il termine Asura indicava gli dèi nella loro forma di energia. Più tardi divenne il nome dei demoni, che però, non essendo necessariamente malvagi, si possono equiparare più ai titani o ai giganti dei miti greci che ai diavoli cristiani. Essendo comunque rappresentazioni di stati bassi e fisici della coscienza, gli Asura furono fatti nascere dall’inguine di Brahma e divennero nemici degli dèi.

Interpretazioni tradizionali:

La molteplicità delle membra e dei volti degli esseri divini è una caratteristica tipica degli idoli indiani che ne rappresentano così le varie funzioni. Le quattro braccia rappresentano il dominio sulle direzioni dello spazio, ma anche i quattro stadi dello sviluppo umano, caratterizzati da diversi scopi (piacere, successo, perfezione e liberazione).

(sintetizzato da Alain Daniélou, Miti e Dèi dell’India)

Paralleli culturali:

Gli Asura, come altre figure della tradizione indiana, sono stati introdotti in Giappone con il Buddhismo, che nato in India come variante eterodossa della religione brahmanica ne riutilizzava vari elementi, interpretandoli come allegorie di stati e tensioni della coscienza. Essendo privi di valenze negative, gli Asura giapponesi appaiono meno minacciosi e feroci delle versioni indiane.

Fig. 18. Il Leone di S. Marco. Venezia (Italia)

Interpretazioni tradizionali:

Il “Leone di S. Marco” è il simbolo dell’omonimo evangelista. Gli altri tre sono rappresentati da un toro, un’aquila e un uomo, tutti dotati di ali.

Paralleli culturali:

I simboli dei quattro evangelisti sono derivati dalla tradizione ebraica, in cui comparivano davanti al trono divino, e prima ancora da quella assiro-babilonese, in cui rappresentavano le costellazioni collegate agli equinozi e ai solstizi (lo Scorpione per i Babilonesi era l’Aquila).

Uniti rappresentavano i quattro quarti dell’intera volta celeste, al di là della quale risiedeva il dio supremo. Presi singolarmente o fusi insieme in figure ibride chiamate Karibu o Lamassu (vedi figura 168), erano utilizzati come guardiani all’ingresso di templi o palazzi reali, in cui si intendeva ricreare simbolicamente uno spazio divino.

Si può dire che nella tradizione cristiana le quattro creature alate, o “cherubini”, siano diventate i guardiani del messaggio e della condizione divina del Cristo, a cui viene proibito di accedere se non attraverso gli scritti degli evangelisti che rappresentano.

Fig. 19. Gorgone Alata. Acroterio di un tempio dorico del Sec. VII^ a.C. Museo di Siracusa.

Miti relativi:

Secondo le tradizioni greche, le Gorgoni erano figlie del dio marino Forco e vivevano nell’estremo occidente. Avevano ali d’oro, artigli di bronzo, serpi per capelli, zanne di cinghiale e pietrificavano chi le guardava.

Perseo uccise Medusa, una delle Gorgoni, con l’astuzia, cioè facendola riflettere nel proprio scudo per non guardarla direttamente. Dal sangue di Medusa decapitata nacque il cavallo alato Pegaso, che permise a Perseo di sfuggire alle vendetta delle sue sorelle.

Fig. 20. La Bocca della Verità. Roma (Italia)

Miti relativi:

Secondo la tradizione si pone una mano nella Bocca della Verità per dimostrare che si dice appunto la verità. Secondo la leggenda la mano di chi mente verrebbe divorata come punizione.

Interpretazioni storiche ipotetiche:

Potrebbe trattarsi di un’antica divinità italica davanti alla quale si pronunciavano dei giuramenti. Originariamente poteva trattarsi del gesto di giurare sulla bocca del dio impegnandosi a pronunciare delle parole altrettanto veritiere delle sue, o conformi alla sua volontà. Purtroppo però non ci sono pervenute notizie sufficienti su questo manufatto per poter formulare ipotesi sicure sul suo significato.

Fig. 21. Stonehenge

Vedi nota alla figura 3. "Insieme litico di Stonehenge, Wiltshire (Gran Bretagna)"

Fig. 22. Stonehenge

Vedi nota alla figura 3. "Insieme litico di Stonehenge, Wiltshire (Gran Bretagna)"

Fig. 23. Stonehenge

Vedi nota alla figura 3. "Insieme litico di Stonehenge, Wiltshire (Gran Bretagna)"

Fig. 25. Oroscopo di pietra. Fortezza di Sacsahuamàn, Cuzco (Perù)

Dati storici:

La fortezza di Sacsahuamàn fu eretta nel XVI secolo d.C. per difendere dalle tribù selvagge della giungla la capitale Cuzco, in cui risiedeva l’Inca, che evidentemente, in quanto incarnazione limitata nel tempo del dio Sole, aveva bisogno di essere protetto dalla sua eterna presenza, riprodotta nella pietra sotto forma di un grande calendario.

Miti relativi:

L’importanza del simbolo del cerchio diviso in dodici parti presso i Quechua del Perù è dovuto alla loro adorazione per il dio Sole Viracocha, di cui i loro re (gli Inca) erano considerati i diretti discendenti.

Interpretazioni naturalistiche:

Come presso molte altre culture (vedi note alle figure 34 e 35), il Sole è al centro di un circolo più grande, che i suoi raggi suddividono in diverse sezioni, il cui numero si può riferire sia alle fasi del ciclo annuale (stagioni, mesi, giorni, ecc.) che alle direzioni dello spazio. Il cerchio esterno rappresenta fisicamente il tempo poiché i suoi 360 gradi equivalgono ai giorni di un anno (i cinque giorni di scarto, in varie culture sono aggiunti al calendario in vari modi e considerati un periodo sacro).

Il cosiddetto “oroscopo di pietra” di Sacsahuamàn, non doveva necessariamente muoversi o essere percorso da qualcosa per svolgere la sua funzione simbolica. Anzi, l’inamovibile fissità dei massi che lo costituiscono rende tangibile l’immutabilità delle leggi astronomiche che rappresenta, considerate il fondamento del cosmo.

Paralleli culturali:

Questa concezione, che unifica spazio e tempo, e rende partecipi gli uomini di una dimensione cosmica, ebbe origine in Mesopotamia nelle prime città sumere del 3500 a.C. e dovette diffondersi da Occidente a Oriente fino a giungere nell’America Centro-Meridionale tra il 1500 a.C. e il 200 d.C., probabilmente attraverso viaggi d’esplorazione polinesiani e cinesi.

Fig. 31. Miniatura. L’Albero di Giuseppe. Biblioteca Laurenziana. Firenze (Italia)

Interpretazioni tradizionali:

L’allegoria dell’Albero di Giuseppe, come quella analoga dell’albero di Jesse, rappresenta il presunto albero genealogico di Gesù, facendolo risalire a famosi re e personaggi del vecchio Testamento, come re David figlio di Jesse, in base a quanto riportato nei vangeli in conformità alle profezie bibliche, che definivano il futuro messia come figlio di David.

Paralleli culturali:

Nei fregi di miniature cristiane come questa si possono intravedere anche simboli più universali. Qui si può notare come l’andamento dei rami che si intrecciano all’asse centrale corrispondano ai serpenti intrecciati a un albero o a una verga che appaiono in vari simboli mistici (vedi nota alla figura 45), o alla rappresentazione dei canali respiratori che si intersecano al percorso dell’energia vitale (sempre simboleggiata da un serpente) nelle pratiche del Kundalini Yoga.

Si tratta di una metafora che rappresenta i diversi livelli di coscienza che si possono percorrere nella propria evoluzione spirituale e che nello Yoga corrispondono ai sette chakra, ogni livello in genere coincide con uno dei punti in cui le tre linee si incrociano e con la figura inscritta nell’ovale che formano. In questo caso il primo livello, che equivale allo stato di quiete e di incoscienza della materia inerte, corrisponde alle radici dell’albero (che qui non si vedono ma che spesso spuntano dal capostipite dell’albero genealogico), i tre livelli successivi corrispondono ai re appollaiati su ogni incrocio, il quinto livello, in cui si manifesta la parola divina, corrisponde a Gesù, il sesto, in cui si visualizza la propria idea di divinità, corrisponde alla fiamma dello Spirito Santo che aleggia al di sopra di lui, e l’ultimo, in cui si percepisce la vacuità indistinta oltre ogni forma, pensiero o definizione, superando le distinzioni tra le diverse idee di dio, corrisponde al punto in cui le due foglie si toccano, ricostituendo l’unità degli opposti all’interno del cui alternarsi si è generato il mondo materiale.

Fig. 34. Rosone nord. Cattedrale di Notre Dame. Parigi (Francia)

Interpretazioni naturalistiche:

Anche in questo simbolo apparentemente ornamentale si possono ritrovare delle simbologie antiche, in questo caso relative al Sole e al suo ciclo annuale (vedi nota alla figura 25). Poiché attraverso la vetrata devono passare i raggi solari, questi vi sono stati rappresentati come un irradiamento circolare da un centro, che corrisponde al sole o all’anno solare nella sua globalità. Da qui si dipartono prima quattro raggi (come le quattro stagioni), poi dodici (come i dodici mesi) e poi ventiquattro (come le ore della giornata).

Interpretazioni mistiche:

Su un piano superiore l’allegoria può rappresentare la molteplicità del creato che emana dall’unità divina.

Fig. 35. Una ruota del Carro del Sole. Tempio di Surya. Konarak. (India)

Dati storici:

I nomadi ariani che invasero l’India intorno al 1500 a.C. usavano i carri come principali mezzi di trasporto e di guerra, e Surya il dio Sole apparteneva originariamente alla loro mitologia, di cui era uno degli dèi più importanti, essendo il sole un simbolo maschile e la loro cultura, basata sulla caccia e la guerra, tipicamente patriarcale. Quello di Konarak è il tempio più famoso tra i numerosi a lui dedicati dalla cultura induista.

Miti relativi:

Nella mitologia induista, il dio del sole Surya è figlio di Aditi, la dea dell’infinito, e di Dyaus, il dio del cielo. Attraversa il cielo su un carro d’oro trainato da un cavallo a sette teste, che si dice rappresenti i sette giorni della settimana.

Interpretazioni naturalistiche:

La rappresentazione del Sole come un carro è probabilmente dovuta all’affinità tra il disco solare e la forma delle ruote, con i raggi che partono dal mozzo che ricordano quelli dell’astro, ed è tipica di varie culture indoeuropee, cioè derivate da popolazioni affini a quella dei nomadi ariani.

Fig. 41. Teothihuacan. (Messico)

Dati storici:

Il nome Teothihuacan significa “La città degli dèi” e si tratta di un centro religioso costituito da vari templi di dimensioni colossali, che fu eretto dai Toltechi tra il 200 a.C. e il 900 d.C. Servì da modello a tutte le città-templi che furono erette in Messico nei secoli successivi.

Paralleli culturali:

La struttura a piramide delle costruzioni, sulla cui sommità si compivano i rituali e le offerte agli dèi, sembra essere derivata da quella degli analoghi templi sumeri (vedi note alle figure 101, 102 e 103) e rappresenta la montagna cosmica che unisce la terra e il cielo ovvero l’altura primordiale da cui ha origine il mondo (vedi nota alla figura 13). In questa particolare forma dovrebbe essersi diffusa da ovest a est attraverso l’India e la Cina, con tutto l’insieme mitico-allegorico ad essa collegato (vedi nota alle figura 25).

Fig. 42. Teothihuacan. (Messico)

Vedi nota alla figura 41.

Fig. 43. Teothihuacan. (Messico)

Vedi nota alla figura 41.

Fig. 44. Teothihuacan. (Messico)

Vedi nota alla figura 41.

Fig. 45. Il Shri Parshva.

Interpretazioni tradizionali:

Il Shri Parshva è uno Yantra, cioè uno dei diagrammi mistici usati nei culti tantrici (che usano anche simbolismi e pratiche sessuali) come strumenti per visualizzare simbolicamente le forze interiori e cosmiche che presiedono alla vita spirituale dell’uomo. Gli Yantra sono rappresentazioni della divinità e delle sue manifestazioni, i cui nomi sono spesso preceduti in segno di rispetto dall’appellativo Shri, che significa “maestà, splendore, bellezza, salute, prosperità, fortuna” e da cui derivano evidentemente i termini italiani “Sire” e “Signore”.

Questo particolare Yantra si direbbe una rappresentazione della Yoni, l’organo sessuale femminile, che è adorato nell’Induismo come simbolo del principio femminile da cui ha origine la creazione primordiale. I due serpenti sono tradizionalmente associati ai culti matriarcali come rappresentazioni delle energie sessuali femminili e maschili che unendosi ricostituiscono l’unità mistica della divinità prima della creazione.

Paralleli culturali:

I due serpenti si ritrovano con grafica e significati simili in moltissime culture, incisi su coppe sumere, intrecciati alla bacchetta del dio greco Ermes, nei codici aztechi o tra le raffigurazioni degli dèi del Vudù.  

Fig. 53. Dainichi. Chuson-Ji, Hiraizumi (Giappone). Secolo XII^.

Dati storici:

Il termine giapponese Dainichi si può tradurre “Grande Giorno”, “Sole Centrale” o “Saggezza Suprema”. Si riferisce al più importante dei cinque Buddha della meditazione, quello che occupa la posizione centrale nel diagramma dello spazio, come Signore supremo, nella scuola buddhista del Vajirayana (Veicolo di Diamante). In questa tradizione si dà una notevole importanza alle pratiche esoteriche connesse con i mantra (formule sacre), i mandala (diagrammi mistici) e i mudra (posizioni delle mani, vedi nota alla figura 61).

Interpretazioni tradizionali:

Qui le mani del Buddha sono nella posizione del mudra della sapienza suprema. La mano che serra l’indice rappresenta l’unità del corpo del Buddha, che comprende in sé stesso l’apparente molteplicità di tutti gli esseri.

Fig. 54. Buddha seduto. Banon, Battambang (Cambogia)

Miti relativi:

Il cobra dalle molte teste che sta dietro la figura del Buddha (e sulle cui spire probabilmente il Buddha è seduto), è il re dei Naga, gli spiriti serpenti della tradizione induista, che normalmente tiene in equilibrio la Terra sulla testa. A differenza di molte tradizioni in cui il serpente è demonizzato come simbolo del male, qui è visto come una creatura positiva, perché sovrastando il Buddha mentre stava seduto a meditare dopo aver raggiunto l’illuminazione, lo aveva protetto una tempesta (un probabile simbolo della violenza e della frenesia del mondo), e per questo è considerato sacro dai Buddhisti.

Paralleli culturali:

Questo mito sottolinea una continuità tra il Buddhismo e gli antichi culti matriarcali in cui i serpenti erano simboli di vari aspetti del mondo naturale, in particolare del ciclo di morte e rinascita, degli opposti che separandosi e riunendosi generano tale ciclo e delle energie interiori più basse che, opportunamente utilizzate, fanno ascendere a livelli superiori della coscienza (vedi nota alla figura 45). La risalita improvvisa del grande serpente dalle profondità sotterranee fino al punto al di sopra della testa del Buddha, corrisponde esattamente al percorso che nelle pratiche yoga compie l’energia kundalini attraverso i sette chakra, per raggiungere uno stato di coscienza al di là delle forme, equivalente evidentemente all’illuminazione buddhista, ma anche all’unione con Dio di altre tradizioni (vedi nota alla figura 31).

Interpretazioni storiche:

Questa tipo di statua è caratteristica dell’arte khmer della Cambogia, forse proprio perché permette di collegare la figura del Buddha agli spiriti della natura dei culti pre-buddhisti, infatti il re Naga ha un ruolo importante nelle leggende relative alla nascita dello stato Khmer.

Interpretazioni tradizionali:

La posizione delle mani del Buddha corrisponde al Dhyani-Mudra (mudra della meditazione). La mano destra che sta sopra rappresenta il nirvana e la mano sinistra che sta sotto rappresenta il mondo terreno.

Fig. 55 . Buddha che predica. Bronzo tailandese, Metropolitan Museum, N.York (U.S.A.)

Interpretazioni tradizionali:

Il gesto delle mani di questo Buddha corrisponde al Vitarka-Mudra, che indica la disponibilità all’insegnamento della dottrina. E’ un atteggiamento attribuito tradizionalmente ai Bodhisattva, che rinunciano provvisoriamente al nirvana per estendere ai loro simili la possibilità della liberazione (vedi nota alla figura 56).

Paralleli culturali:

E’ interessante notare la somiglianza con il gesto che significa “tutto bene” nella cultura occidentale, derivato dal linguaggio dei segni degli indiani d’America.

Fig. 56. Bodhisattva Bronzo dell’India. Museo di Vittoria e Alberto. Londra (Inghilterra)

Miti relativi:

Bodhisattva significa “Colui la cui essenza è il risveglio, l’illuminazione” e nel Buddhismo Mahayana (Grande Veicolo) indica chi, pur essendo alla soglia del nirvana, rinuncia a entrarvi per aiutare altri esseri a raggiungere la “liberazione”.

Se il termine non è seguito da altri nomi, si riferisce al presunto Buddha storico nelle sue vite precedenti, infatti si dice che prima di giungere alla sua ultima incarnazione come Siddhartha Shakyamuni, in cui avrebbe raggiunto il nirvana, aveva vissuto un enorme numero di vite come animale o divinità, rinunciando ogni volta alla “liberazione” pur di aiutare un altro genere di esseri a superare la sofferenza nella sua vita successiva, fino ad estendere la possibilità di raggiungere il nirvana a tutte le creature.

Paralleli culturali:

Nel Mahayana, singoli bodhisattva possono godere di venerazione e popolarità superiori a quelle dello stesso Buddha, poiché i fedeli ripongono in loro la speranza della liberazione e quindi è ad essi che rivolgono suppliche e preghiere. Ciò ha permesso di inglobare nel Buddhismo molti dèi adorati nei paesi dove si è diffuso, trasformandoli in bodhisattva. Si potrebbe considerarli l’equivalente buddista di certi santi cristiani, che a volte derivavano i propri nomi o attributi da antiche divinità.

Interpretazioni tradizionali:

In questa particolare rappresentazione, la mano destra rivolta in basso col palmo in avanti corrisponde al Varada-Mudra e rappresenta l’esaudimento di un desiderio.

Fig. 57. Dea Tara. Secolo XVI^ Museo di Copenhagen (Danimarca)

Miti relativi e paralleli culturali:

Tara era una dea induista sposa di Brihaspati, il dio della preghiera signore dei sacerdoti.

Nel Buddhismo diventa la shakti (energia - sposa) del bodhisattva Avalokiteshvara (il “buddha” della compassione infinita), e in quanto tale rappresenta le qualità di saggezza, grazia e misericordia che caratterizzano il suo sposo.

Interpretazioni tradizionali:

La posizione delle mani di questa particolare rappresentazione corrisponde al Bhumisparsha-Mudra, in cui la mano sinistra col palmo in alto e la mano destra col dorso che indica la terra, rappresentano il fatto di chiamarla a testimone della raggiunta illuminazione.

Fig. 58. La Dea Tlalixcoyan. Museo Università, Veracrutz (Messico)

Dati storici:

Il nome Tlalixcoyan è lo stesso di una città messicana vicina a Veracruz.

Interpretazioni storiche ipotetiche:

E’ probabile che Tlalixcoyan sia la dea che personificava e proteggeva quella particolare località.

Fig. 59. Coatlicue. Museo Nazionale di Antropologia, Messico.

Miti relativi:

Coatlicue significa “gonna di serpenti”. Era la dea della terra e della morte, madre degli dèi aztechi. Viveva nelle sette caverne da cui partirono le sette tribù da cui discesero gli aztechi, che furono guidate nella Valle del Messico da suo figlio Huitzilopochtli, il dio della guerra. La sua figura repellente veniva giustificata con il fatto che non si era più curata del proprio aspetto nell’attesa del ritorno del figlio.

Secondo una leggenda, qualche tempo prima del crollo dell’impero azteco, Coatlicue aveva mandato a richiamare suo figlio Huitzilopochtli, dicendo che il suo tempo era compiuto e che doveva tornare nel suo grembo.

Paralleli culturali:

Si tratta di una personificazione terrifica della dea terra affine alle gorgoni greche (vedi nota alla figura 19), con lo stesso simbolo dei serpenti a rappresentare le caotiche e cicliche energie della natura, tipico di tutte le culture con alla base dei culti matriarcali (vedi note alle figure 45 e 54). Come molte dèe simili è al tempo stesso la madre della vita e colei che accoglie di nuovo i propri figli nella morte.

Fig. 60. Mano magica. Bronzo romano, British Museum, Londra.

Dati storici:

Si tratta di un bronzetto votivo tardoromano, raffigurante la mano “panthea”, simbolo del dio Sabazio. Pantee era il nome che i Greci davano alle statue adorne dei simboli di più divinità, di cui erano figurazioni complessive.

Miti relativi:

Sabazio era un dio frigio del Sole, figlio della dea madre Cibele, e adorato in Tracia come dio dei boschi e delle selve. Introdotto in Grecia nel V secolo a.C. e poi nella Roma imperiale, fu assimilato al Dioniso greco.

Interpretazioni mistiche ipotetiche:

Le dita della mano potrebbero simboleggiare i cinque elementi, Terra, Acqua, Aria, Fuoco e Etere, che rappresentano sia i diversi stati del mondo materiale (solido, liquido, gassoso, intermedio o indiscriminato) che i componenti dell’essere umano (corpo fisico, principio vitale, anima, spirito e identificazione con l’Assoluto). Il palmo può rappresentare l’unità da cui sorgono e a cui ritornano. Le pratiche magiche dovrebbero servire a ricostituire simbolicamente la completezza ideale dell’Uomo, riunificandone gli elementi e conferendogli potere su di sé e sul mondo. Le tre dita alzate potrebbero rappresentare la creazione secondo la concezione pitagorica dell’uno che origina il due, cioè il principio unitario trascendente che origina gli opposti, tra cui diventa possibile l’esistenza.

Fig. 61. Mudras (India)

Dati storici:

Mudras è un termine sanscrito che indica le posizioni delle mani e delle dita delle statue che, nell’Induismo e nel Buddhismo, hanno una notevole valenza simbolica. I mudra hanno la funzione di esprimere, attraverso dei gesti, i concetti che caratterizzano una certa divinità o la forma in cui si manifesta agli uomini. 

Fig. 62. Talismano cinese

Dati storici:

Gli abitanti dell’Estremo Oriente attribuiscono a molti animali poteri positivi o negativi. Gli animali viventi possono essere considerati dei portafortuna (come le mascotte da noi) ed evidentemente questa capacità può essere estesa anche alla loro rappresentazione. Anche perché alcuni animali, pur essendo considerati reali, sono completamente fantastici e quindi non possono essere posseduti in nessun altro modo che raffigurandoli. In particolare l’inesistente animale qui disegnato è un Ch’ang Fu, un uccello con tre teste.

Fig. 63. L’Albero della Vita. Incisione di Rictus, nel Portae Lucis, Secolo XV^

Interpretazioni tradizionali:

L’albero rappresenta in molte culture l’asse cosmico, simbolo sia del mondo esterno che degli stati interiori. Nella Cabala ebraica è raffigurato come uno schema astratto, spesso inscritto in una figura umana. I dieci punti che lo compongono rappresentano altrettante emanazioni divine, chiamate Sefirot (Numeri). L’ordine delle Sefirot va dall’alto in basso, dalla condizione trascendente di Dio alla sua incarnazione nella materia. I nomi delle dieci Sefirot sono: Corona Suprema, Sapienza, Comprensione, Amore, Potere, Bellezza, Pazienza, Maestà, Fondamento e Regno. Le prime nove costituiscono i vertici di tre triangoli, che rappresentano tre mondi, Intellettuale, Morale e Materiale, ognuno con due forze opposte e una terza che le equilibra al centro. L’ultima Sefirot isolata sul fondo rappresenta le forze interiori che permettono di risalire ai livelli più alti (come l’energia kundalini nello Yoga).

Secondo un’altra suddivisione, la prima Sefirot corrisponde al Mondo Divino, la coppia sottostante al Mondo Creativo, le sei successive al Mondo Formativo e l’ultima al Mondo Materiale. In ognuno di questi quattro mondi, le dieci sefirot sono messe in relazione rispettivamente con i nomi di Dio, gli arcangeli, gli ordini angelici, e i corpi celesti (nell’ultimo anche con gli ordini dei demoni e gli arcidiavoli). L’albero della vita è usato dai cabalisti come guida per l’evoluzione delle anime, che percorrendo a ritroso il cammino delle emanazioni divine, si identificano con le diverse Sefirot, dalle più basse alle più alte.

Paralleli culturali:

I sette livelli su cui si dispongono le Sefirot corrispondono a quelli dei chakra indiani, come in altre rappresentazioni a forma di Albero (vedi nota alla figura 31), ma nella cabala tre dei livelli si scindono in due principi (maschile a destra e femminile a sinistra) ottenendo così dieci punti invece dei sette dei chakra. I chakra sono ordinati dal basso verso l’alto, invece che dall’alto verso il basso come le Sefirot, ma in entrambi i casi la struttura può essere percorsa nei due sensi.

Fig. 64. La Pietra del Sole. Calendario azteco.

Dati storici:

E’ un monolito di 3 o 4 metri di diametro che fu scoperto nel 1790, durante i restauri della cattedrale di Città del Messico, costruita sull’area di un antico tempio.

Interpretazioni tradizionali:

Raffigura la storia del mondo secondo la cosmologia azteca. Al centro sta il sole e intorno i venti simboli dei giorni. Il cerchio più esterno è costituito da due enormi serpenti con le fauci accostate che rappresentano il tempo.

Paralleli culturali:

L’immagine del sole al centro con i raggi che suddividono nei diversi periodi le sezioni dei cerchi più esterni, corrisponde alla rappresentazione del tempo ciclico comune a tutte le culture monumentali (vedi note alle figure 25, 34 e 35).

Fig. 67. Tomba a scaloni del re Zoser. Sakara (Egitto)

Dati storici:

E’ la prima piramide egizia, costruita intorno al 2630 a.C., al posto delle tombe reali precedenti scavate nel sottosuolo. Il cambiamento nel modo di costruirle coincise con il passaggio dalla Seconda alla Terza Dinastia, quando la sede del potere politico si spostò a nord di Menfi. Il potere religioso passò nelle mani dei sacerdoti di Ptah, il dio che modella il mondo con la forza della parola, considerato immanente nella materia da lui creata e patrono degli artigiani e degli architetti costruttori delle piramidi.

Interpretazioni storiche:

Secondo la precedente mitologia lunare (d’origine matriarcale), il faraone morto era accolto nelle profondità della terra con i suoi dignitari, sacrificati e sepolti con lui perché continuassero a servirlo nell’aldilà, ma il suo potere terreno svaniva col suo ritorno nel grembo della Grande Madre. Con la successiva mitologia solare, si tentava evidentemente di far riunire il faraone al cielo di cui era considerato il dio vivente, mantenendo inalterata nel tempo la presenza del suo potere anche dopo la morte, così come si cercava di mantenere inalterato il suo corpo con la mummificazione.

Miti relativi:

La struttura delle tombe fu rivolta verso l’alto, a imitazione dell’altura primordiale su cui secondo i miti il Sole era apparso per la prima volta.

Paralleli culturali:

La forma delle piramidi egizie è affine a quella della montagna cosmica di molte altre culture (vedi note alle figure 13, 101/103 e 105).

Interpretazioni tradizionali:

I quattro lati costituiti da triangoli con i vertici rivolti in alto che convergono, nel simbolismo alchemico (originario dell’Egitto), si possono interpretare come il principio maschile che si eleva dai quattro elementi del mondo terreno.

Fig. 69. Tempio di Vesta, Roma.

Dati storici:

Vesta era la dea italica della casa, del focolare domestico e della patria, poi identificata con l’analoga dea greca Estia. Il suo culto consisteva principalmente nel tenere perennemente acceso il fuoco sacro alla dea. Le sacerdotesse incaricate di questo compito entravano nel collegio sacerdotale addetto al tempio fra i sei e i dieci anni e vi dovevano rimanere per trent’anni, facendo solenne voto di castità.

Fig. 77. Formazioni piramidali e gruppi conici nello Stupa dei Re di Bangkok (Tailandia)

Dati storici:

Gli stupa (in sanscrito “crocchia”) sono edifici sacri buddhisti adibiti alla conservazione delle presunte reliquie del Buddha o dei suoi discepoli.

L’architettura degli stupa indiani a forma di semisfera (vedi figura 106), in Thailandia si allungò assumendo l’aspetto di una campana, in modo da strutturare l’edificio più agilmente e permettere di differenziare maggiormente, per livelli e per piani, la rappresentazione della vita dei Buddha e dei bodhisattva (vedi note alle figure 56 e 105).

Interpretazioni tradizionali:

Lo stupa simboleggia l’entrata del Buddha nel nirvana ed è anche una rappresentazione simbolica dell’universo affine a quella della montagna cosmica (vedi note alle figure 13 e 41/44).

Fig. 79. l tempio Todai-Ji di Nara (Giappone)

Dati storici:

La città di Nara fu fondata nel 710 dall’imperatrice Gemmei che vi trasferì la capitale. Fu progettata con una vasta planimetria rettangolare a scacchiera, per incarnare il concetto di stabilità e continuità, ispirandosi alla pianta della città cinese di Ch’ang-an, che all’epoca era la capitale dell’impero T’ang, a sua volta influenzata dall’urbanistica romana. Quando nel 737 il Buddhismo divenne religione di stato, Nara si arricchì di monasteri buddhisti, anch’essi basati sui modelli cinesi, tra cui il tempio Todai-ji, centro della setta Ke-gon, la cui costruzione fu favorita dall’imperatore Shomu che intendeva governare il Giappone secondo i principi di quella scuola. Il Todai-ji fu progettato dal bonzo Ryoben che sosteneva un sincretismo tra buddhismo e shintoismo, con una superficie equivalente a quella del palazzo imperiale e costituì il modello di tutti i templi statali che furono disseminati nella provincia, come simboli dell’autorità nazionale. Il tempio contiene una statua, alta più di quindici metri e pesante oltre 400 tonnellate, che rappresenta la figura seduta del Grande Buddha Dainichi-nyorai (vedi nota alla figura 53).

Fig. 82. Pagoda dei Fiori. Secolo XIV^. Canton (Cina)

Paralleli culturali:

La forma architettonica della pagoda cinese deriva da quella dello stupa indiano e tibetano (vedi nota alla figura 77), da cui si differenzia per la maggiore verticalità dell’edificio, che assume l’aspetto di una torre, e per la più accentuata articolazione dei piani, che rappresentano i vari mondi della cosmologia buddhista. I cornicioni di separazione degli stupa indiani diventano dei tetti arcuati e sporgenti. La rituale deambulazione circolare, che in India si svolgeva all’esterno, nelle pagode avviene all’interno grazie a delle scale che si girano intorno ad un pilastro centrale.

Fig. 91. Il Partenone (facciata orientale). Atene (Grecia)

Dati storici:

Tempio dedicato ad Athena Parthènos (“Atena Vergine”) che fu eretto sull’acropoli di Atene, tra il 447 e il 432 a. C., dagli architetti Ictino e Callicrate. Conteneva una statua della dea, opera di Fidia, e vi si custodiva il tesoro dello stato. Era interamente decorato con fregi scultorei della scuola di Fidia che riproducevano episodi del mito di Atena, lo svolgersi di una processione in suo onore e varie battaglie mitiche.

Fig. 99. La cupola del Pantheon. Roma (Italia)

Dati storici:

Il Pantheon Fu eretto da Agrippa nel 27 a.C. , ma alcuni elementi sono stati modificati da restauri successivi. Era un tempio dedicato a Tutti gli Dèi (in greco “Pan Theon”), concepiti come un’unica entità collettiva. In origine i marmi multicolori che rivestivano le pareti e le absidi rappresentavano appunto varie divinità greco-romane, e forse anche di altri popoli.

Paralleli culturali:

Anche nella tradizione induista si ritrova un’analoga personificazione degli dèi in un unico essere, sempre chiamato col nome di Tutti gli Dèi (in sanscrito Vishvadeva), e considerato come l’entità universale di cui i singoli dèi sono le diverse manifestazioni. In Grecia i pantheon si trovavano anche all’interno di templi dedicati a singole divinità, come il Partenone (vedi nota alla figura 91).

Interpretazioni naturalistiche:

La cupola può essere considerata una rappresentazione della volta celeste in cui si muovevano tutti i corpi celesti che si identificavano con i vari dèi. L’apertura centrale da cui entra la luce del sole, da cui si irraggiano varie sezioni può riferirsi a certi simbolismi astronomici comuni anche ad altre culture (vedi note alle figure 25, 34 e 35). La stessa struttura architettonica sarà poi utilizzata spesso per le cattedrali cristiane dedicate al dio unico, che allo stesso modo si identifica con la totalità del cielo.

Fig. 101. Zigurat di Nannar a Ur, Mesopotamia.

Dati storici:

Gli ziggurat erano i templi sumeri (e poi babilonesi), costituiti da una torre piramidale a più piani (di solito sette), che rappresentavano gli spazi del cielo (le orbite del Sole, della Luna e dei cinque pianeti maggiori) in ognuno dei quali viveva uno degli dèi principali. Ogni piano era colorato in modo diverso, probabilmente in base al simbolismo di ogni divinità. Sull’ultimo piano stava il sacrario, con la statua d’oro del dio a cui era dedicato il tempio e due altari per i sacrifici. Riguardo agli ziggurat qui raffigurati, è importante notare che, poiché Nannar è il nome sumero del dio della Luna che i Babilonesi chiamavano Sin, le figure 101 e 102 si riferiscono evidentemente alla stessa costruzione, come appare oggi e come era in origine. D’altronde Nannar era il protettore della città di Ur e in ogni città sumera esisteva un solo ziggurat.

Miti relativi:

Il modello su cui erano costruiti gli ziggurat era quello dell’Anki, la montagna cosmica costituita dai corpi uniti del dio An (il Cielo) e della dea Ki (la Terra), che all’origine del mondo era stata spezzata dalla nascita di En-Lil, il dio dell’aria, che così rese possibile la vita, ma separò il mondo Celeste da quello Terreno. Con la costruzione dei templi e i rituali che vi si svolgevano si cercava di ricostituire l’unità perduta, mettendo gli uomini in comunicazione con gli dèi attraverso una “scala” che ricollegasse la Terra al Cielo.

Paralleli culturali:

Lo Ziggurat di Babilonia (che superò in altezza quelli delle altre città per affermare la sua supremazia sulla regione) originò tra l’altro la leggenda ebraica della Torre di Babele.

I templi furono utilizzati anche per le prime osservazioni astronomiche, da cui ebbe origine la concezione del tempo ciclico e del calendario, che nel corso dei secoli si diffuse praticamente in tutto il mondo e che ancora oggi utilizziamo (vedi note alle figure 25 e 41/44). Di pari passo si diffuse evidentemente l’immagine della montagna cosmica, i cui diversi piani possono essere visti come passaggi graduali a diversi livelli di esistenza (vedi note alle figure 13 e 105). I sette livelli si ritrovano inoltre nelle concezioni dell’Albero della Vita, dei sette chakra, e in altri simboli di elevazione spirituale (vedi note alle figure 31 e 63). 

Fig. 102. Ricostruzione dello zigurat di Sin (Ur), dell’ Istituto di Arte Chicago. (USA)

(vedi note alle figure 101)

Fig. 103. Zigurat di E-Temen Anki. Restauro dell’Istituto di Arte Chicago. (USA)

(vedi note alle figure 101)

Fig. 105. Stupa di Borobudur. Mandala architettonico di forma piramidale. Jogijakarta, Java (Indonesia)

Dati storici:

E’ un santuario posto esattamente al centro dell’isola di Giava, datato intorno all’VIII secolo d.C. E’ costituito da una piramide a pianta quadrata dentellata a cinque piani e culmina in tre terrazze circolari concentriche su cui sono disposti settantadue piccoli stupa, con al centro uno stupa più grande dal diametro di dieci metri.

Interpretazioni tradizionali:

Visto dall’alto appare come un grande mandala, un diagramma simbolico che rappresenta la montagna cosmica (vedi nota alla figura 13). Per i buddhisti questa rappresenta un percorso spirituale che l’adepto deve seguire per raggiungere l’illuminazione interiore e unirsi al corpo mistico del Buddha. Il pellegrino che si appresta all’ascensione deve operare una deambulazione rituale attorno al tempio, seguendo i bassorilievi che illustrano la legge del karma, cioè le conseguenze delle proprie azioni, con scene dei paradisi e degli inferni buddhisti. Poi percorrerà i piani della piramide, nelle nicchie dei quali si trovano prima immagini dei Buddha umani e, salendo più in alto, dei Buddha trascendenti, finché nelle 64 nicchie del quinto piano si trovano solo immagini del Buddha Vairochana (che si identifica con il Buddha cosmico che comprende tutti i Buddha e i bodhisattva). Infine, sulle terrazze superiori, dove ci sono 72 statue del Buddha Vajrasattva (“Colui la cui essenza è immutabile”) disposte in altrettanti stupa, si perviene a un totale distacco dal mondo e solo allora si può accedere allo stupa maggiore, in cui sono conservate le reliquie del Buddha storico.

Fig. 106. Grande Stupa di Sanchi, secolo III^ a.c. (India)

Dati storici:

E’ uno dei primi monumenti dell’arte buddhista e contiene delle reliquie del Buddha. Su una base rotonda si erge una semisfera, sopra la quale inscritta in una grata di pietra si trova un palo con tre ombrelli piatti, simboli della dignità della dottrina buddhista. La base è circondata da una balaustra in pietra e lo stretto corridoio tra questo recinto esterno e la base fa da spazio per la deambulazione durante le processioni rituali e da sentiero purificatorio prima di accedere alle reliquie. Quattro portali collegati alla recinzione e disposti nei punti cardinali, separano lo spazio sacro dal mondo esterno. Le reliquie, conservate in contenitori che richiamano la forma dello stupa sono disposte lungo l’asse centrale del tempio.

Interpretazioni tradizionali:

Sui portali sono scolpiti episodi della vita del Buddha e lo stupa stesso è il simbolo dell’entrata del Buddha nel nirvana.

Fig. 114. L’Incostanza, le Allegorie del Restello del Bellini. Accademia, Venezia (Italia)

Interpretazioni psicologiche:

In questa allegoria, si possono considerare elementi che rappresentano l’incostanza: i bambini che ne circondano la figura, che non sono impegnati in attività precise ma compiono gesti diversi in base alle ispirazioni del momento; la sfera, che è un solido privo di angoli a cui ci si possa afferrare o trattenere e che quindi, come una palla, può facilmente scivolare o rotolare casualmente in qualunque direzione; l’acqua corrente su cui scivola la barca, che viene trascinata senza poter essere fermata o governata, essendo priva di remi, vele o altri mezzi per controllarne la navigazione. 

Fig. 115. La Grande Sfinge di Giza. (Egitto)

Miti relativi:

A differenza della sfinge greca (vedi nota alla figura 169), quella di Giza rappresenta probabilmente il faraone vivente, in quanto figlio spirituale di Ptah, il dio creatore che si manifesta in tutte le cose, e di Sekhmet , la dea leonessa che incarnava il potere distruttivo del Sole.

Paralleli culturali:

Il cobra che si trova sulla fronte della Sfinge (e che era anche sulla corona dei faraoni) potrebbe corrispondere al sesto punto del sistema dei chakra (vedi nota alla figura 31), che rappresenta lo stato della coscienza in cui si percepiscono le divinità come esseri dotati di forma. A confermare questa analogia c’è il fatto che nella tradizione indiana questo punto era rappresentato come un terzo occhio verticale dalla forma simile al cappuccio del cobra, mentre in quella egizia il cobra era considerato l’occhio del dio-Sole Ra.  

Fig. 116. Portale settentrionale dello Stupa di Sanchi. Satavahana (India). II secolo a.C.

(Vedi nota alla figura 106)

Fig. 117. Dettaglio di uno dei Gopura del tempio di Minakshi, Nayak. (India). Secolo XVII^

Dati storici:

I Gopura sono le torri piramidali che sovrastano gli ingressi dei templi dell’India meridionale, appartenenti alla cultura dravidica. La loro superficie è interamente scolpita con raffigurazioni di storie religiose e di divinità. Nel tempio di Minakshi, appartenente al complesso monumentale della città di Madurai, ne sorgono quattro, uno su ogni lato del muro esterno, con dei gopura minori che ornano i due recinti interni, senza contare altri ornamenti di mostri mitici nella Sala dalle Mille Colonne che si trova all’interno dell’area sacra.

Miti relativi:

Minakshi significa “occhi come pesci” ed è il nome di una delle due divinità principali del santuario, la shakti (energia - sposa) del dio Shiva visto nella forma di Sundareshvara (“Bel Signore”). La dea sarebbe appartenuta all’antica dinastia dei Pandya di Madurai e le sue nozze col dio sono celebrate ogni anno con una grande festa.

Fig. 118. Gopura del tempio Parthasarathi. Madras (India)

(Vedi nota alla figura 117)

Fig. 120. Il dio Visnù. Museo di Arte Indiana. Berlino (Germania)

Miti relativi:

Vishnu E’ una dei principali dèi induisti e fa parte della Trimurti (la “triplice forma” di Dio), come conservatore dell’universo. E’ l’unico dei tre dèi che la compongono (gli altri sono Brahma e Shiva) a essere nominato negli antichi testi vedici su cui si basa l’Induismo, anche se in posizione ancora subalterna rispetto agli altri dèi. Nel Rigveda è la manifestazione dell’energia solare che muovendosi genera lo spazio. In seguito è identificato con Krishna ed è oggi il dio indù più popolare insieme a Shiva, il distruttore, di cui è l’aspetto complementare, come l’apollineo contrapposto al dionisiaco nella cultura greca. La sua funzione di guardiano del dharma (la legge divina da cui dipende il dovere morale, la virtù, e la giustizia) gli impone di manifestarsi periodicamente in una serie di incarnazioni, salvando il mondo dai pericoli che rischiano di comprometterne l’equilibrio.

Interpretazioni tradizionali:

Nell’iconografia del Vishnuismo, la corrente religiosa a lui dedicata, Vishnu è rappresentato (come in questo caso) con quattro braccia. La mano in basso a destra rappresenta la tendenza orbitante creatrice, la mano in alto a destra la coesione, la mano in alto a sinistra la dispersione e la mano in basso a sinistra la nozione del sé. Di solito ogni mano regge un simbolo diverso. Qui ha in mano il loto, che rappresenta l’universo come un fiore che si schiude nell’oceano delle cause, la ghirlanda, che simboleggia lo sviluppo della manifestazione immanente attraverso il potere dell’illusione, e la ruota, che rappresenta la capacità della mente di inventare e distruggere l’universo in quanto basato sulla rotazione. Sul petto porta una cordicella a tre fili che rappresentano le lettere della sillaba Aum, a loro volta simboli delle tre tendenze della natura: creazione, coesione e disintegrazione, personificate anche negli dèi della Trimurti. Sulla testa ha una corona che rappresenta la realtà inconoscibile posta al di sopra dell’intelletto e che corrisponde al settimo chakra (vedi nota alla figura 31).

Fig. 121. Statua tolomeica di Horus. Edfu (Egitto)

Miti relativi:

Horus era figlio degli dèi Iside e Osiride, concepito dopo la morte del padre. Osiride era stato riportato in vita nell’aldilà grazie alla mummificazione del suo corpo e il suo potere fecondatore penetrò in Iside quando questa lo sorvolò sotto forma di uccello. Horus era il dio falco che si identificava con il nuovo sole. Come tale vinse il dio delle tenebre Seth e instaurò in Egitto la regalità faraonica.

Dati storici:

La statua indossa la tiara tipica dei faraoni, in cui sono fuse le corone dell’Alto e del Basso Egitto, che divenne l’emblema regale dopo l’unificazione due paesi. Il faraone era considerato in vita l’incarnazione di Horus e dopo la morte quella di Osiride. 

Fig. 122. Atlanti e Gradinate. Tula (Messico)

Dati storici:

Queste colossali statue di guerrieri, alte più di quattro metri e mezzo, sostenevano il tetto di uno dei maggiori templi di Tula. In origine erano moltissime ed ognuna reggeva in una mano un propulsore e nell’altra un incensiere.

Paralleli culturali:

Le statue potevano servire a creare la sensazione di uno spazio sacro circoscritto sulla cima della piramide, in modo analogo a quanto accade sulla cima di certi stupa

Fig. 124. Opposizioni Sole - Luna e Cielo - Terra nella Porta del Sole di Toledo (Spagna)

Paralleli culturali:

La divisione della forma triangolare in una parte celeste e una terrena ricorda la struttura della montagna cosmica sumera (vedi nota alle figure 101/103).

Interpretazioni mistiche:

Il triangolo inscritto in un cerchio può simboleggiare la natura una e trina della divinità, cioè la concezione di Dio come un’entità indiscriminata che è uniforme ovunque (come i punti della circonferenza), ma che per rendere possibile il mondo materiale, si differenzia facendo scindere la sua natura unitaria (il vertice superiore del triangolo che corrisponde al Cielo) in due principi opposti (i vertici alla base del triangolo che delimitano la Terra). Tali principi in opposizione, corrispondenti al maschile e al femminile, sono simboleggiati anche dal Sole e dalla Luna, che sono al tempo stesso forme celesti e fisiche, simboli astratti ma anche metafore ispirate a cose reali, e si trovano quindi a metà tra Cielo e Terra.

Fig. 125. Ormuzd e Ahriman, affresco di Persepoli. Biblioteca delle arti decorative, Parigi. (Francia)

Miti relativi:

Ahura Mazda (“Signore Saggio”), era il dio supremo e onnisciente della religione persiana pre-islamica. Come il suo corrispondente indiano Varuna, all’inizio era dotato di un doppio aspetto e dispensava sia la buona che la cattiva sorte. Poi fu inteso come un creatore benefico e i due aspetti contrapposti della sua natura vennero scissi in Spenta Mainyu (“Spirito Santo”), dio del bene e della luce, e Angra Mainyu (“Spirito Maligno”) detto anche Ahriman (“Pensiero Distruttore”), dio del male e delle tenebre. Il dio del bene conservò anche il nome di Ahura Mazda, spesso contratto in Ormuzd. Questi due principi sono considerati inconciliabili e in costante lotta tra loro, finché alla fine dei tempi, le forze di Ormuzd non sconfiggeranno definitivamente i demoni di Ahriman.

Paralleli culturali:

Poiché questa concezione religiosa risale come minimo al VII secolo a.C. e che all’epoca l’Impero Persiano dominava tutta l’area dell’Asia Minore, sono evidenti le influenze che deve aver avuto sui movimenti profetici e messianici dell’Ebraismo e poi sul Cristianesimo. Infatti anche il dio ebraico in origine conteneva in sé aspetti positivi e negativi che poi furono scissi in due diverse entità. Inoltre dalla rappresentazione di Ahriman con corpo bestiale, ali, coda e corna, deriva chiaramente il tipico aspetto del diavolo e anche l’adorazione del fuoco come simbolo della luce da parte degli antichi persiani, sopravvive nella pratica di accendere i ceri nei luoghi di culto cristiani. 

Fig. 126. Il dio Hayagriva. Nepal, Sec. XVII^. Museo di Leyden. (Olanda)

Miti relativi:

Il nome Hayagriva è un appellativo di Vishnu (vedi nota alla figura 120) che in questa forma recuperò i sacri testi Veda trafugati da due demoni.

Paralleli culturali:

Lo stile di questa immagine è tipicamente Buddhista. E’ probabile quindi che si tratti di una figura divina induista reinterpretata nel Buddhismo in senso negativo, in quanto personificazione di uno stato della coscienza da superare, come l’attaccamento a degli oggetti materiali o la sottomissione a norme non basate sul ragionamento. I Buddhisti infatti non riconoscevano l’autorità dei Veda, gli inni scritti da veggenti su cui si basava l’Induismo.

Fig. 128. Bes danzanti. 1400 a.c. Egitto.

Miti relativi:

Bes è il dio egizio della gioia e della musica. Era raffigurato come un nano grottesco dalle orecchie di pipistrello e, poiché lo si riteneva capace di allontanare il male, le sue statuette erano considerate dei portafortuna.

Interpretazioni storiche:

La sua figura sproporzionata e scomposta, anomala rispetto alla ieraticità degli dèi egizi, fa supporre che sia un dio precedente al periodo faraonico o appartenente a popoli limitrofi.

Paralleli culturali:

L’immagine del dio buffone è comune a molte culture tribali, le cui divinità non costituiscono modelli morali, ma si rendono ridicole muovendosi nel mondo che hanno creato.

Fig. 131. L’Artemide di Efeso. Museo Nazionale di Napoli (Italia)

Miti relativi:

Nei miti greci, Artemide era la dea della Luna, sorella di Apollo, dio del Sole, entrambi figli di Zeus e di Leto, dea della notte. Era considerata vergine, ma anche generatrice di tutte le creature e protettrice della vita, in quanto il suo influsso determina i cicli della fertilità, ed era adorata in luoghi isolati e selvaggi (monti, pianure o boschi).

Dati storici:

Artemide è ritenuta una dea originaria della Lidia (la costa occidentale dell’attuale Turchia), dove si sono trovate le tracce più antiche del suo culto. In particolare a Efeso esiste un suo tempio che risale all’VIII secolo a.C. Dai guerrieri greci fu trasformata in una vendicativa dea della caccia armata di frecce e capace di gesta cruente, il cui nome fu associato al greco “artomos” (“macellaio”). A Efeso invece era rappresentata come una dea madre con un figlio tra le braccia e, più tardi, col busto ricoperto di mammelle, simboli della sua funzione di dispensatrice e alimentatrice della vita universale.

Paralleli culturali:

Dalle raffigurazioni di Artemide e dal suo appellativo di Madre degli Dèi, si direbbero derivati gli analoghi attributi conferiti a Maria, madre di Gesù, nel concilio di Nicea, che si tenne nel 325 d.C. proprio presso Efeso. Anche il volto e le mani scure di questa statua, che si ritrovano in tante madonne nere adorate dai Cristiani, sono simboli tipici della Grande Madre, identificabile sia con le profondità della Terra che con l’oscurità primordiale da cui ha origine il mondo. La corona che riproduce delle mura è invece tipica delle divinità orientali protettrici di una città.

Fig. 132. Saturno che divora i suoi figli. Goya. Museo del Prado Madrid. (Spagna)

Miti relativi:

Saturno è la versione romana del dio greco Cronos (“Il Tempo”), figlio del Cielo e della Terra, che divenne sovrano del mondo instaurando l’Età dell’Oro. Gli fu predetto dalla madre che sarebbe stato detronizzato da uno dei suoi figli, perciò li ingoiava appena nati. Tra questi sua moglie Rea salvò Zeus, che fece crescere in segreto. Da adulto spodestò Cronos e gli fece vomitare i fratelli, con cui spartì il dominio del mondo.

Interpretazioni storiche:

Questo mito si può riferire ad antichi culti matriarcali, di cui sono rimaste tracce soprattutto a Creta (dove crebbe Zeus). Tali culti facevano sentire l’uomo in armonia e in pace con la natura e i suoi simili (l’Età dell’Oro), ma in nome del mantenimento dell’ordine universale stabilivano la necessità di sacrifici umani. Con l’invasione degli Achei (il passaggio da Cronos a Zeus), i valori matriarcali furono sostituiti da quelli patriarcali, che proponevano come modelli le gesta di eroi dalla grande forza e capacità guerriera.

Paralleli culturali:

Presso molte popolazioni, il fatto di essere mangiati simbolicamente, e poi vomitati, da una divinità o da un mostro, identificabile con il padre o la madre, è un rito che segna un momento di transizione, in cui muore il nostro vecchio io e ne nasce uno nuovo, passando ad esempio dall’infanzia all’età adulta.   

Fig. 133. Mostro del Parco Orsini. Bomarzo (Italia)

Dati storici:

E’ la Grotta dell’Orco, uno dei mostri del giardino “iniziatico” fatto edificare da Vicino Orsini nel Sacrobosco di Bomarzo, presso Viterbo, nel 1571. Vi si trovano riproduzioni di “prove” affrontate da cavalieri erranti nelle loro avventure e elementi scenografici di varie tradizioni, con riferimenti pagani, esoterici, alchemici, esotici ed ermetici. La Grotta dell’Orco è un edificio la cui porta è una bocca, le finestre due occhi e il tavolo di pietra una lingua.

Fig. 134. L’Incubo di Fussli. Museo Goethe. Francoforte (Germania)

Paralleli culturali:

Il termine incubo deriva dal latino “incubare” che significa “giacere sopra”. Nell’antica Roma si indicavano con questa parola dei demoni che facevano la guardia a tesori nascosti. Per analogia si può dire che certi sogni particolarmente agitati (e quindi significativi) possono nascondere dei “tesori” a livello di conoscenza di sé stessi. Nel Medioevo (e almeno fino al XVI secolo), in ambito cristiano, Incubo divenne il nome dei diavoli che si univano a donne umane mentre queste dormivano. Da questo punto di vista i “brutti sogni” sono visti come risultati dell’unione con spiriti maligni, ovvero del non aver rimosso totalmente, almeno nell’inconscio, la propria parte passionale e istintiva legata al sesso, come l’asettico puritanesimo dell’ideologia cristiana prescriverebbe. Anche gli incubi provocati da indigestione o altri disturbi, in molte tradizioni popolari europee sono attribuiti a uno spirito, in questo caso un folletto (chiamato ad esempio Derscialet in Svizzera, Calcarot in Veneto, o Linchetto in Lucchesia), che è sempre rappresentato come una creatura che “pesa” sul petto o sullo stomaco del dormiente.

Fig. 139. Sole e Luna in opposizione. Rappresentazione Alchemica del Aurora Consurgens. Centrale di Zurigo. (Svizzera)

Dati storici:

Il disegno fa parte di un trattato alchimistico del XV secolo e rappresenta lo scontro tra i principi contrari del maschile e del femminile, che si identificano con il Sole e la Luna (vedi nota alla figura 124)

Interpretazioni tradizionali:

Il colore scuro che vela le facce indica che il conflitto si verifica nella prima fase del processo alchemico, la “nigredo” o “nerezza”, che corrisponde alla malinconia. Per l’artefice dell’opera alchemica, la presa di coscienza di tale stato, e quindi la sua rappresentazione simbolica attraverso processi chimico-fisici, costituisce il primo passo per realizzare un cambiamento esteriore ed interiore allo stesso tempo. 

Fig. 140. Il Leone Verde. Illustrazione del Rosarium Philosoforum. Biblioteca di Badiana. St.Gallen (Svizzera)

Interpretazioni tradizionali:

Il Leone Verde è una figura tratta da un testo di alchimia dell’inizio del XVI secolo e si riferisce alla fine del lavoro alchemico, in cui l’operatore ha creato le basi interiori per lavorare in modo consapevole e concreto sia con le proprie forze lunari che con quelle solari (vedi note alle figure 124 e 139) e si trova quindi sulla soglia di una più alta e profonda esperienza dell’essere. La misteriosa ed oscura sorgente delle due forze è costituita dalle energie viventi dell’anima (che oggi raffiguriamo come l’inconscio). Per il completamento della propria evoluzione interiore è necessario immergersi completamente in questo pozzo dell’essere e penetrarne a fondo il mistero. Questa esperienza è rappresentata dal Leone Verde che divora il Sole. Il sole qui è tutto ciò che l’alchimista ha portato alla luce, cioè al livello della coscienza, nel proprio lavoro di sviluppo interiore, e corrisponde fisicamente alla creazione dell’Oro puro (vedi nota alla figura 162). Il Leone Verde è l’aspetto divorante e dissolvente dell’anima, che rende di nuovo inconsapevoli di tutto ciò che si era compreso o percepito, e per analogia gli alchimisti lo identificavano con l’Acqua Ragia, l’acido tinto di verde che è il solo a poter dissolvere l’Oro metallico. 

Paralleli culturali:

Lo stesso atto del divorare consiste nel diventare tutt’uno con qualcosa che cessa di esistere nel momento in cui la otteniamo e sta probabilmente ad indicare uno stato affine a quello del Nirvana nel Buddhismo, o del settimo chakra nello yoga, cioè il superamento degli opposti, dei conflitti, dei giudizi, e delle forme precostituite in genere.

Fig. 150. Particolare di un fregio del tempio di Laksmana. Kharjuraho,(India)

Miti relativi:

Lakshmana è un personaggio del poema epico Ramayana, ed esattamente il fratellastro ed amico più fedele dell’eroe Rama. Poiché quest’ultimo è un’incarnazione di Vishnu (vedi nota alla figura 120), Lakshmana è considerato a sua volta l’incarnazione di Sesha, il serpente cosmico su cui Vishnu riposa tra una creazione e l’altra. Visto che alla fine del poema Lakshmana ascende in cielo, accolto dagli dèi, il particolare del fregio si potrebbe riferire alle delizie di uno dei tanti paradisi induisti.

Fig. 151. Ninfe inseguite da un satiro. Daumier. Museo di Montreal (Canada)

Miti relativi:

Nella mitologia greco-romana, le ninfe erano divinità femminili secondarie che rappresentavano le forze elementari della natura. Venivano classificate in base ai fenomeni naturali a cui erano associate (ninfe del mare, dei fiumi, dei campi, delle valli, delle foreste, ecc.) e la loro paternità poteva essere attribuita a divinità diverse. Anche i satiri erano personificazioni della natura, ma vista sotto una forma più selvaggia e dionisiaca (facevano parte appunto del seguito di Dioniso, il dio dell’ebbrezza dei sensi), per cui erano rappresentati come uomini rozzi e violenti con corna e gambe di capra. Nei miti spesso insidiavano le ninfe, simboleggiando in tal modo gli istinti sessuali e le passioni più basse e brutali dell’uomo.  

Fig. 155. Tensioni in un Telamone del Municipio di Tolone di Pouget (Francia)

Miti relativi:

Secondo le leggende greche, Telamone era figlio di Eaco, re di Egina, che lo esiliò per aver ucciso involontariamente il proprio fratellastro. Partecipò a varie imprese e fu il padre dell’eroe Aiace, che combatté e morì a Troia.

Interpretazioni ipotetiche:

Evidentemente, il dolore di Telamone per la sorte del figlio ha fatto sì che fosse dato il suo nome alle statue ornamentali che vengono ritratte in atteggiamenti sofferenti.

Fig. 156. Un Atlante della Cattedrale di Pistoia (Italia)

Miti relativi:

Nei miti greci, Atlante era un gigante (o secondo altri un titano) a cui Zeus aveva ordinato di reggere sulle spalle la volta celeste, per punirlo di aver aiutato i Titani nella guerra contro gli dèi. Per questo si dà il suo nome alle statue che reggono sulle spalle delle colonne o altri elementi architettonici.

Fig. 157. Le Cariatidi dell’Erecteion. Atene (Grecia)

Dati storici:

L’Erecteion sorge sull’Acropoli di Atene, sui resti di un antico tempio dedicato ad Athena Polias (Protettrice della Città), al dio degli abissi Poseidone e ad altre divinità ed eroi: Efesto, Erittonio, Cecrope, Pandroso, Bute. Dopo la sua distruzione da parte di Serse, e la successiva pace di Nicia del 421 a.C., fu costruito un nuovo tempio dall’architetto Filocle. L’ingresso meridionale del vestibolo è adornato da una loggia con sei Korai, o Cariatidi, delle statue femminili che ne sostengono il tetto a mo’ di colonne, mentre l’ingresso settentrionale era contrassegnato dal tridente di Poseidone.

Miti relativi:

L’Erecteion prende il nome da Eretteo, o Erittonio, un eroe identificato anche con Poseidone stesso, che fu allevato da Atena e divenne re di Atene, instaurandovi il culto della dea con la costruzione di questo santuario, in cui era inserita la sua tomba.

All’interno dell’edificio si trovavano dei simboli viventi dei due dèi principali che vi venivano onorati: un olivo sacro ad Atena ed un pozzo d’acqua salata attribuito ad un colpo di tridente di Poseidone.

Interpretazioni mistiche:

Sia nei due ingressi dell’Erecteion ornati rispettivamente da figure femminili e simboli maschili, che nei simboli di Atena e Poseidone presenti all’interno, si può vedere una contrapposizione armonica dei due diversi aspetti del divino, rappresentati dai due dèi. 

Fig. 159. L’Arca di Noè. Museo della Cattedrale di Gerona (Spagna)

Paralleli culturali:

In questo disegno medievale l’Arca è suddivisa in cinque piani. Se a questi si aggiunge lo spazio sopra il tetto, in cui teoricamente risiede il dio ebraico, e l’abisso delle acque al di sotto, che corrisponde alla superficie terrestre, si ottengono i sette livelli che in molte culture sono associati agli stati interni (vedi note alle figure 31, 63, 101, 102 e 103). Il fatto che il piano più basso sia occupato da morti, quelli intermedi da diversi tipi di animali, il penultimo da esseri umani vivi e quello celeste da un dio privo di forma, potrebbe confermare una similitudine con i diversi gradi di un’evoluzione interiore. Questa divisione dell’arca in diversi piani si ritrova anche nella Bibbia, dove però sono solo tre (inferiore, medio e superiore). Invece nella più antica versione babilonese della leggenda, da cui quella biblica è direttamente derivata, i piani dell’arca sono proprio sette (un ponte superiore scoperto e sei ponti sottocoperta). I colori diversi che nel disegno contrassegnano i vari piani ricordano il modo in cui erano colorati i sette piani degli ziggurat mesopotamici, o i colori che contraddistinguono i chakra, anche se non vi corrispondono esattamente.  

Fig. 161. Il labirinto della cattedrale di Chartres. (Francia)

Dati storici:

Il nome “Labirinto” deriva da “labrys”, l’ascia bipenne che era il simbolo regale di Creta.

Miti relativi:

L’esempio più famoso di labirinto è appunto quello di Creta, secondo il mito costruito dall’architetto Dedalo su ordine del re Minosse, per rinchiudervi il Minotauro.

Paralleli culturali:

Altri labirinti dell’antichità, erano posti presso il lago Meride in Egitto, nella tomba del re etrusco Porsenna e nell’isola di Lemno. La forma tipica del labirinto, con pianta circolare e porzioni di muri che formano una croce, è affine a quella della svastica indiana, che indica l’impossibilità di raggiungere direttamente l’unione col Trascendente (vedi nota alla figura 12). Questo tipo di simboli esoterici sono comuni all’interno delle cattedrali gotiche, come quella di Chartres che, come molte altre, sorge su un luogo considerato sacro già dai popoli pre-cristiani.

Fig. 162. Rosa Rubea (La Rosa Rossa), miniatura di un trattato di Johanne Andreae. Sec. XV^. British Museum, Londra. (Inghilterra)

Interpretazioni tradizionali:

E’ un simbolo della fase del processo alchemico chiamata “rubedo” o “rossezza”, che corrisponde anche all’Oro o alla pietra filosofale, e rappresenta la maturità. L’uomo racchiuso nell’ampolla indica il lavoro interiore che l’artefice ha compiuto su sé stesso (o in generale sul modo di concepire l’Uomo), manipolando simbolicamente le sostanze chimiche, mentre la rosa che esce dall’ampolla indica che la trasformazione interiore dell’essere umano si riflette spontaneamente anche nel mondo esterno. 

Fig. 163. Il Papa simoniaco di Blake. Galleria Tate, Londra (Inghilterra) – 1824/27.

Dati storici:

L’immagine fa parte delle illustrazioni di William Blake per la Divina Commedia di Dante. Qui è rappresentata una scena ambientata nell’VIII girone dell’Inferno, in cui il papa Nicolò III è condannato a stare in eterno a testa in giù in un vaso di fuoco per il peccato di simonia, ovvero di traffico di cose sacre e cariche religiose a scopo di lucro.

Fig. 164. La dea Tlazolteotl. Collezione privata Washington. (U.S.A.)

Miti relativi:

Tlazolteotl significa “divora immondizia”. E’ la dea azteca del parto, qui raffigurata in una statua di giada nell’atto di dare alla luce un bambino. Il nome si può spiegare con l’esistenza di molte leggende azteche in cui le dee davano alla luce i propri figli dopo essere rimaste incinte per aver ingerito certe pietre, piume, o altri oggetti.

Interpretazioni ipotetiche:

I miti in cui dei bambini nascono dall’ingerimento di oggetti si possono imputare ad un’antica ignoranza della relazione tra atto sessuale e gravidanza, o alla concezione di una partecipazione globale della donna al mondo che la circonda, i cui elementi possono prendere vita dentro di lei, come i semi all’interno della Terra.

Fig. 167. Il passaggio dello Stige di J. Patinir. Museo del Prado. Madrid (Spagna)

Miti relativi:

Lo Stige era uno dei fiumi degli Inferi della mitologia greca. Come tutti i fiumi, i Greci lo ritenevano dotato di personalità divina, in questo caso femminile. Stige era figlia del titano Oceano e della ninfa Teti e corrispondeva al decimo braccio del grande fiume di cui gli altri nove circondavano la Terra. Unendosi al titano Pallante generò molti figli, che con la madre furono i primi a schierarsi dalla parte di Zeus, quando dichiarò guerra ai Titani per conquistare il mondo. Perciò Zeus ordinò che i giuramenti sullo Stige fossero inviolabili.

Interpretazioni storiche:

Si tratta di un riconoscimento della sacralità e dell’importanza di quelle divinità arcaiche che si identificano con le forze naturali più basse e che erano adorate nei culti matriarcali, la cui sostituzione con una mitologia patriarcale è rappresentata appunto dal mito di Zeus (vedi nota alla figura 132).

Paralleli culturali:

Nella sua reinterpretazione dell’Inferno, basata sia sui miti greci che sulla struttura araba dell’aldilà, Dante collocò lo Stige nel quinto cerchio, descrivendolo come una palude fangosa in cui stanno immersi gli Iracondi, sorvegliati dal demone Flegiàs, che fa da traghettatore per chi deve proseguire verso i cerchi più bassi.

Fig. 168. Toro androcefalo nella porta del Palazzo Khorsabad. Museo del Louvre Parigi (Francia)

Miti relativi:

Si tratta di un lamassu, un genio guardiano della mitologia assiro-babilonese con corpo di toro, ali d’aquila e volto umano. Geni di questo tipo prendevano più in generale anche il nome di karibu. Altri avevano corpo di leone anziché di toro.

Interpretazioni tradizionali:

Le creature di cui erano composti i karibu rappresentano le costellazioni collegate agli equinozi e ai solstizi (Toro, Leone, Acquario e Scorpione, che per i Babilonesi era l’Aquila) e quindi l’intera estensione della volta celeste, dietro cui risiedeva il dio supremo. I karibu erano quindi posti come guardiani all’ingresso di luoghi in cui si intendeva ricreare simbolicamente uno spazio divino, come templi o palazzi.

Paralleli culturali:

Da questo tipo di figura derivano poi i cherubini ebraici, che furono posti sia all’ingresso del Giardino dell’Eden che sull’Arca dell’Alleanza, e che nel Cristianesimo diventarono una gerarchia angelica.

Fig. 169. Sfinge di marmo. Museo Keramicos, Atene (Grecia)

Miti relativi:

Secondo la mitologia greca la Sfinge era un mostro femminile, con corpo di leone alato, petto e volto di donna. Fu inviata sul Citerone, in Beozia, dalla dea Era (la protettrice del vincolo matrimoniale), che era adirata con Laio, re di Tebe, a causa del suo amore adultero per il giovane Crisippo. La Sfinge si stabilì su una rupe vicino a Tebe e uccideva chi non riusciva a sciogliere il seguente enigma: “Qual è l’animale che al mattino cammina con quattro zampe, a mezzogiorno con due e la sera con tre?” Dopo la morte di Laio, i Tebani promisero di nominare re chi l’avesse risolto e di dargli in sposa la regina Giocasta, poiché secondo un oracolo questo avrebbe spinto la Sfinge a uccidersi. L’impresa fu compiuta da Edipo, rispondendo che l’animale era l’uomo, che da bambino cammina carponi, da adulto in piedi e da vecchio col bastone. Così Edipo, che aveva ucciso in un diverbio il re Laio, senza sapere chi fosse né di esserne il figlio, sposò la regina Giocasta, che all’insaputa di entrambi era sua madre. 

Fig. 170. Gli Atlanti di Tula. (Messico)

(vedi nota alla figura 122)

Fig. 171. La caduta di Icaro di Gowi. Museo del Prado. Madrid (Spagna)

Miti relativi:

Icaro, figlio dell’architetto Dedalo e di una schiava del re Minosse, fu rinchiuso da questi con suo padre nel labirinto che aveva costruito (vedi nota alla figura 161). Ne fuggirono in volo grazie a ali di cera costruite da Dedalo stesso, ma Icaro, preso nell’ebbrezza del volo, dimenticò i consigli paterni e salì troppo vicino al sole. La cera si sciolse e precipitò in mare.

Interpretazioni mistiche:

Il mito di Icaro può anche avere un senso mistico, rappresentando il rischio di dimenticarsi delle esigenze del proprio io corporeo una volta raggiunta un’identificazione troppo totale con l’assoluto trascendente, che è simboleggiato dal sole, ma anche dal centro del labirinto.

Paralleli culturali:

La relazione tra il sole e il centro di aree circolari si ritrova anche in altri simboli (vedi note alle figure 25, 34 e 35)

Fig. 172. La Porta dei Leoni. Micene. (Grecia)

Dati storici:

E’ una costruzione che risale al 1350 a.C., quando il palazzo di Micene fu allargato e furono erette mura ciclopiche tutt’attorno.

Paralleli culturali:

L’uso dei leoni come guardiani, può avere dei legami con le figure analoghe che in altre culture sono associate all’omonima costellazione, o più in generale al potere solare, e quindi maschile (vedi note alle figure 18 e 175). Anche il triangolo con il vertice rivolto in alto in cui i leoni sono inscritti, sia nell’alchimia che nell’induismo è un simbolo del principio maschile. Nel caso della porta di Micene, il motivo figurativo dei due leoni contrapposti è ripreso dalla tradizione cretese, anche se i Greci lo usarono in modo più monumentale.

Fig. 173. Attenti al cane. Pompei (Italia)

Dati storici:

All’ingresso delle ville dell’antica Roma erano comuni i mosaici con sopra raffigurati dei cani di grossa taglia e la scritta “attenti al cane”, esattamente come oggi.

Fig. 174. Difensori nell’entrata del Prasad Phra Theebidorn (Thailandia)

Interpretazioni tradizionali:

Gli ingressi dei templi buddhisti sono tradizionalmente custoditi da due statue gigantesche che rappresentano dei guerrieri con le spade sguainate. Questi però non hanno tanto la funzione di spaventare o tenere lontani i visitatori, ma piuttosto di ricordare che la paura di morire, e il conseguente desiderio di vivere che suscitano in noi, devono essere lasciati alle spalle nell’oltrepassare la soglia del tempio. Nel pensiero buddhista infatti ciò che ci trattiene al di fuori dello spazio sacro privo di contraddizioni e di conflitti, in cui gli opposti si armonizzano e si annullano nell’unità, non è la volontà di un qualche dio geloso della propria supremazia, ma il nostro stesso attaccamento istintivo a ciò che crediamo essere la nostra vita. In pratica l’immortalità è già nostra e ci troviamo già nel Nirvana (quello che nelle tradizioni ebraico-cristiane si chiamerebbe il Giardino dell’Eden), solo che non ce ne accorgiamo a causa del desiderio, o della paura, del mondo fisico. I guardiani rappresentano questi due sentimenti, visti come una prova da superare a livello mentale.

Fig. 175. Leone grifone nel palazzo di Dario di Susa. VI secolo a.C. Museo del Louvre . Parigi (Francia)

Dati storici:

Questo tipo di guardiani, che difendevano simbolicamente l’accesso ai palazzi assiro-babilonesi, in epoche più antiche potevano essere raffigurati anche sotto forma di toro (vedi nota alla figura 168), sempre fondendosi con elementi di altri animali.

Interpretazioni naturalistiche e mistiche:

Oltre ad essere simboli di certe costellazioni chiave, il leone e il toro rappresentano anche il Sole e la Luna. Il primo, in quanto animale diurno e legato alla caccia, è associato alla corona solare, anche per analogia con il colore del suo manto e la sua criniera. Il secondo, in quanto animale legato ai lavori agricoli che dipendono dai cicli lunari, è associato alle fasi della Luna, anche per analogia con la forma delle sue corna, il cui colore chiaro e lucido spicca sul suo manto scuro come la Luna spicca nel buio della notte. Quando elementi dei due animali sono fusi insieme, come in questa e in altre figure assire, la si può considerare una rappresentazione della totalità del ciclo, come dire che è di guardia ininterrottamente lo spirito di tutte le ventiquattr’ore della giornata, sia del giorno che della notte, o a un livello più elevato, che i due principi della luce e del buio, del maschile e del femminile, sono riuniti nell’incarnazione della divinità che sta dietro l’ingresso, nello spazio sacro che i guardiani sorvegliano, dove non c’è più separazione tra gli opposti e le apparenti contraddizioni dell’esistenza si riconciliano nell’unità.  

Fig. 176. Porta ovest chiamata -dei due Leoni- dell’Antica città Ittita di Hattussa. Yozgat (Turchia)

Dati storici:

Gli Ittiti erano un popolo guerriero di stirpe indoeuropea, affine agli achei che fondarono Micene, perciò è comprensibile che utilizzassero dei simboli simili come guardiani delle porte delle città (vedi nota alla figura 172).

Interpretazioni ipotetiche:

Forse i pilastri della porta, che sono inclinati, formavano in origine una specie di volta triangolare, associando quindi ai leoni lo stesso simbolo della porta di Micene (vedi nota alla figura 172).

Fig. 178. Selvaggi. Sculture nella facciata del Collegio di S. Gregorio. Valladolid (Spagna)

Miti relativi:

Nelle leggende cristiane medievali, molte creature mitiche che in origine corrispondevano probabilmente ad arcaiche divinità dei boschi, furono spesso reinterpretate come uomini selvaggi, in certi casi dotati di particolari poteri o capacità grazie alla loro simbiosi con la natura. A seconda dei casi potevano essere descritti come ricoperti di peli, pellicce, foglie, fiori o altri elementi naturali. Anche quelli qui raffigurati, sembrano uomini occidentali che abbiano vissuto a lungo nei boschi senza tagliarsi capelli e barba, piuttosto che abitanti di altre parti del mondo. Agli uomini selvaggi delle leggende, che in genere si riteneva vivessero ai margini di società contadine, era attribuita una natura ambigua, incontrollabile ed incivile ma al tempo stesso profondamente saggia o addirittura profetica.

Paralleli culturali:

Ricorrono in moltissime culture esempi che corrispondono all’archetipo dell’uomo selvaggio: l’Enkidu delle antiche leggende mesopotamiche; il Satiro, il Fauno e il Silvano dei miti greco-romani; il Saltner, il Salvan e il Salvanel del Nord Italia, i Mamutones della Sardegna, il Jack in the Green del nord Europa, il Lesy della Russia, il Mbotumbo dell’Africa, lo Yeti dell’Himalaya, il Sasquatch del Nord America. Nelle leggende celtiche la strana natura di uomo selvaggio è spiegata con sconvolgimenti della mente che colpiscono esseri umani, come l’irlandese Suibhne, lo scozzese Lailoken o il gallese Myrddin (Merlino). Nella cultura popolare cristiana alcuni elementi della figura dell’uomo selvaggio sono confluite nelle leggende sui santi eremiti.

Fig. 179. Statue di Faust e Mefistofele. Monumento a Goethe nella Villa Umberto I^. Roma (Italia)

Dati storici:

Il dottor Faust è un personaggio storico vissuto in Germania tra il 1480 e il 1550. Era un semplice truffatore che, spacciandosi per Principe dei Negromanti, si guadagnava da vivere esibendo le sue “arti magiche” nelle osterie. Nonostante fossero semplici trucchi, eseguiti con la complicità dell’oste, correva voce che i suo poteri derivassero da un patto col diavolo, a cui aveva venduto l’anima in cambio del sapere universale.

Interpretazioni psicologiche:

Lo spunto storico, rielaborato in opere teatrali e letterarie, ha fatto poi del dottor Faust l’archetipo dello scienziato moderno che intende conoscere e padroneggiare il mondo al di fuori dei limiti posti dalle autorità religiose o da una presunta volontà divina. Un atteggiamento che dai pregiudizi della Chiesa e della mentalità popolare è stato considerato diabolico fino a pochi secoli fa. Mefistofele, che significa “negatore di luce”, è uno dei nomi attribuiti al diavolo dalla tradizione medievale e potrebbe rappresentare il mondo dei fenomeni naturali e della materia, dal Cristianesimo visto di per sé come fonte di peccato, che si relaziona direttamente con lo scienziato senza l’intermediazione delle teorie religiose.

Fig. 180. Adamo ed Eva. Tiziano. Museo del Prado. Madrid (Spagna)

Interpretazioni psicologiche e mistiche:

Il serpente rappresenta il ciclo naturale che obbliga a distaccarsi da una situazione di unità e di armonia in cui non esistono conflitti tra gli opposti. In questo quadro ha un aspetto umano con due code di serpente al posto delle gambe, simile a quello dei Giganti appartenenti alla mitologia greca, anch’essi incarnazioni di forze naturali. L’albero si identifica in generale con l’asse cosmico attorno a cui ruota l’esistenza (vedi nota alla figura 192) ma, ad attestare il carattere dissociato dei miti ebraici, nel giardino dell’Eden ce ne sono due: l’Albero della Vita, che rende immortali, e l’Albero del Bene e del Male, che rende consapevoli, e che è quello di cui mangiano i frutti Adamo ed Eva. Il primo si riferisce alla condizione in cui gli opposti sono unificati e si sperimenta l’unione con Dio, ma non si è consapevoli di esistere perché il mondo fisico si dissolve e non c’è più il pensiero dualistico. Questo è lo stato a cui cercano di tornare i cabalisti attraverso la meditazione sulle Sefirot (vedi nota alla figura 63). Il secondo si riferisce alla condizione in cui gli opposti sono separati ed è possibile vivere materialmente. La stessa nascita di Adamo ed Eva, nella Cabala è descritta come la separazione dell’Adamo Cosmico (cioè di Dio visto come un Androgino formato da un corpo maschile e femminile uniti), che si scinde nelle due parti che lo componevano. Purtroppo nella mentalità ebraica ortodossa, e poi cristiana, ciò è percepito come un distacco forzato dalla condizione divina (l’Eden) e imputato alla punizione di un dio geloso che pretende di essere superiore alle parti di sé stesso che si manifestano nel mondo degli opposti e le tiranneggia nei modi più meschini. Si tratta in definitiva di un complesso mitico che attesta una dissociazione schizofrenica a livello di un’intera cultura. Una dissociazione che comunque ha portato in seguito a valorizzare l’unicità e le qualità degli individui, una volta che hanno saputo opporsi ai sistemi totalitari ispirati all’autorità dell’immaginario tiranno divino.

Fig. 181. Centauro e serpente grifone aggrovigliati tra lacci in un capitello del chiostro della Collegiata di Santillana del Mare. Santander (Spagna)

Miti relativi:

Centauri e Grifoni sono creature mitologiche appartenenti in origine alla mitologia greca. Sui centauri vedi la nota alla figura 16. I grifoni erano animali dalla testa e le ali d’aquila e il corpo di leone, ritenuti sacri ad Apollo.

Paralleli culturali:

Qui sembra trattarsi di una decorazione che solo marginalmente ricorda le creature originali, infatti, il grifone ha corpo di serpente, mentre il centauro indossa un cappello (cosa strana, trattandosi di creature selvagge). Attesta comunque il modo in cui simboli a carattere pagano-alchimistico sopravvivono occultamente all’interno delle chiese cristiane.

Fig. 182. Ercole che lotta con l’Idra. Puget. Museo di Ruan (Francia)

Miti relativi:

Nei miti greci, l’idra era un mostro nato dal drago Tifeo e dalla ninfa Echidna. Infestava la palude di Lerna, vicino ad Argo. Il suo corpo era per metà di ninfa e per metà di serpente e aveva sette teste (o secondo altri nove), di cui una immortale, mentre le altre ricrescevano se venivano tagliate. Divorava chiunque capitasse e isteriliva la terra con il suo fiato pestilenziale. Ercole lo uccise bruciandogli i tronconi delle teste dopo averle tagliate e schiacciando la testa immortale sotto un masso. Poi intinse nel suo sangue velenoso le proprie frecce, in modo che le ferite da queste provocate fossero inguaribili.

Interpretazioni storiche:

Si tratta di un tipico mito di vittoria di un eroe maschile sul drago che rappresenta il potere naturale dei culti femminili, come se ne trovano in molte culture, e in particolare in quelle indoeuropee. Le teste che rispuntano possono essere una reminiscenza del fatto che, in origine, il dio-serpente resuscitava dopo la morte. (Vedi anche la nota alla figura 195)

Fig. 183. Il cavallo di Troia, pittura romana nel Museo Nazionale di Napoli (Italia)

Miti relativi:

E’ il famoso cavallo di legno dall’interno cavo, ideato da Ulisse e costruito da Epeo, che i Greci offrirono ai Troiani come dono ad Atena, per farsi perdonare di aver trafugato la sua statua. La spia Sinone persuase i Troiani ad accettarlo, ma nel gigantesco cavallo erano nascosti i migliori guerrieri greci che, nella notte, uscirono e incendiarono la città.

Interpretazioni storiche:

Il fatto che il “dono” raffigurasse proprio un cavallo è probabilmente dovuto al fatto che questo animale era sacro per i popoli nomadi indoeuropei, di cui facevano parte anche gli Achei che assediarono Troia. Essendo prezioso sia come mezzo di trasporto che in guerra, gli venivano tributati onori speciali. Forse era stata eretta una statua in suo onore dopo la vittoria e da questo ha avuto origine la leggenda.

Fig. 184. Il Larario. Casa dei Vettii. Pompei (Italia)

Dati storici:

Il Larario era l’altare domestico dedicato ai Lari, le anime dei defunti. Ogni famiglia aveva il suo, collocato in una nicchia della parete o dipinto sul muro nella stanza dei capifamiglia, che in ogni caso non veniva mai spostato dalla casa e vi restava anche quando la famiglia la abbandonava. Si riteneva che i Lari fossero presenti in ogni luogo frequentato dagli uomini: le loro immagini proteggevano anche i crocicchi, le strade, la città, il mare o gli accampamenti. In loro onore si celebravano periodicamente vari riti solenni, anche in occasione di matrimoni, compleanni e altre cerimonie di vita familiare.

Miti relativi:

I Lari erano considerati gli spiriti degli antenati e venivano raffigurati come due giovinetti in atto di danzare, con corone d’alloro e cortissime tuniche, spesso alzando al di sopra del capo dei bicchieri a forma di corno, chiamati rhyton. In origine erano i protettori della terra, della casa e dei campi, poi divennero le divinità del focolare domestico. Poiché nella mitologia greca, il dio che conduceva le anime nell’aldilà era Hermes, quando questa si fuse con la mitologia romana, i Lari divennero i figli gemelli di Hermes (identificato col latino Mercurio) e della ninfa Lara, di cui il dio si sarebbe innamorato mentre la scortava negli Inferi. Nel Larario di Pompei i Lari sono le due figure danzanti ai lati, mentre la figura centrale è il Genio del capostipite della famiglia. Sotto le tre figure sta il serpente sacro, che rappresenta il Genius Loci, ovvero il genio del luogo in cui la famiglia vive.

Interpretazioni storiche:

La presenza dei serpenti che decoravano i loro altari, fa pensare che nella versione più arcaica si trattasse di spiriti connessi ai culti matriarcali della natura (vedi nota alle figure 45 e 54). Poiché anche il dio Hermes (dalla bacchetta magica con due serpenti intrecciati), deriva probabilmente dallo stesso tipo di culti, il fatto di averli messi in relazione risulta perfettamente coerente, sia dal punto di vista dell’iconografia che da quello del significato simbolico. Anche i corni che i Lari tengono in mano, possono essere collegati ai culti matriarcali in quanto simboli della Luna, che influenza la fertilità e la crescita della vegetazione.  

Fig. 185. L’arcangelo San Michele. Museo Nazionale di Scultura. Valladolid (Spagna)

Miti relativi:

Secondo la Bibbia, Mikha’el, il cui nome significa “Chi è come Dio?”, è il principe delle milizie angeliche, che alla fine del mondo sconfiggerà Lucifero, rappresentato spesso in questa circostanza come un Drago.

Paralleli culturali:

Nelle tradizioni più antiche, anche quando il conflitto era espresso, non si trattava di una battaglia definitiva contro le forze del “male”, poiché il dio-serpente, che è equivalente al drago, risorgeva dopo la morte. Ciò che si rappresentava era l’alternarsi dei cicli naturali, che per quanto apparissero crudeli, rientravano nell’ordine armonico delle cose.

Fig. 186. Genio protettore della palma. Susa (Iran)

Dati storici:

Rilievo in mattoni del XII secolo a.C., dal tempio di Inshushinak a Susa, precedente alla civiltà achemenide dell’Impero Persiano.

Miti relativi:

Il “genio” ha per la precisione la forma di un toro androcefalo, ovvero dotato di aspetto umano nella parte superiore del corpo, e sulla sinistra è affiancato da una divinità femminile della regione di Elam.

Interpretazioni naturalistiche ipotetiche:

Nei paesi desertici del medio oriente è naturale che le palme, unici alberi ad alto fusto capaci di sopravvivere, fossero considerati simboli di fertilità (vedi nota alla figura 7). In quanto tali, e vista la loro preziosità, potevano benissimo richiedere dei protettori divini, in questo caso però non è per niente sicuro che il genio stia proteggendo la palma, potrebbe ad esempio essere inviato dalla dea dietro di lui per portarla agli uomini. Il fatto che abbia forma di toro lo potrebbe associare a dei culti della fertilità (vedi nota alla figura 175)  

Fig. 192. Yggdrasil, L’albero del mondo scandinavo. Northern Antiquity T. Perchy 1847 (Irlanda)

Miti relativi:

Nei miti nordici Yggdrasil è il frassino cosmico da cui dipende il destino del mondo. I rami si estendono su tutto l’universo e le radici attraversano tre regni. Il più basso è il Niflheim, il “Regno delle Nebbie” sotterraneo abitato dai morti, dove scorre la fonte Vergelmer (“Caldaia Tonante”) da cui nascono i fiumi infernali, e la radice dell’albero è rosa dal serpente Nydhogg che vi sta sotto (nell’illustrazione se ne notano le molte teste). Quello intermedio è Jotunheim, il “Regno dei Giganti” che circonda Midgard, la “Terra di Mezzo” dove vivono gli uomini, da cui è separato da alte montagne e dall’Oceano con l’immenso serpente Jormungand (la cui testa morde la coda cingendo il mondo). In Jotunheim scorre la fonte di Mimir, il dio della saggezza. Il regno più alto, sopra la terra degli uomini, è Asgard, la sede degli dèi, dove scorre la fonte del passato da cui le tre Norne, dee del destino, attingono l’acqua con cui innaffiano l’albero perché non si dissecchi. Un arcobaleno fa da ponte tra Asgard e gli altri regni, conducendo fino alla porta del Niflheim. Yggdrasil sarà l’unica cosa a sopravvivere al Ragnarok, la battaglia finale in cui si scontreranno le forze del bene e quelle del male che si distruggeranno reciprocamente, per poi rinascere in una nuova creazione.

Paralleli culturali:

L’intera struttura è una variante della divisione dell’universo in tre mondi che si ritrova in molte culture. In questo mito il concetto patriarcale della fine del mondo (vedi note alle figure 125 e 185) si fonde con quello dei cicli cosmici tipico dei culti matriarcali.

Interpretazioni storiche e naturalistiche:

Poiché i normanni erano un popolo guerriero in cui il potere era esclusivamente maschile, i serpenti (simboli matriarcali) sono visti come nemici dell’albero che rappresenta la vita. Però la sua conservazione è comunque affidata ad una trinità femminile, in quanto la dea una e trina che si identifica con la Grande Madre, presiede al mondo naturale da cui la vita nasce.

Fig. 193. Montagna dei filosofi. Incisione di Altona 1775 (Germania)

Interpretazioni tradizionali:

Questo tipo di rappresentazione, è di solito un’allegoria generale dell’alchimia.

Fig. 194. L’arcangelo San Michele, di Juan Adan. Cattedrale di Granata (Spagna)

(Vedi nota alla figura 185)

Dati storici:

Nel triangolo in alto, che rappresenta sia la trinità che il principio maschile, è inscritto il tetragramma, cioè le quattro lettere ebraiche che costituiscono il nome sacro di Dio. Non se ne sa il suono esatto perché contiene solo consonanti, come tutte le parole scritte nelle lingue semitiche, e poiché nella lettura della Bibbia era invalso l’uso di non pronunciarlo, non si è conservata la memoria delle vocali che lo completavano. Nel nostro alfabeto le lettere (che in ebraico si leggono da destra a sinistra) corrispondono a “ Y H V H “. A volte vengono lette Iavè e a volte Geova.

Fig. 195. Ercole e Cerbero, Zurbaran. Museo del Prado, Madrid (Spagna)

Miti relativi:

La cattura di Cerbero, il cane a tre teste che era a guardia degli Inferi, secondo i miti greci fu l’ultima delle fatiche di Ercole. Dopo aver lottato con lo stesso Ade, dio degli Inferi, questi gli concesse di portare via Cerbero purché lo domasse senza armi (è un errore quindi il fatto che qui usi la clava). Ercole trascinò Cerbero per il collo fino da Euristeo, il re di Micene suo fratellastro che gli aveva imposto le dodici fatiche. Aveva dovuto sottoporsi a questa penitenza per ordine di un oracolo, per purificarsi di un momento di follia in cui aveva ucciso la moglie e i figli.

Interpretazioni mistiche:

Il fatto che l’ultima prova consista nel domare il guardiano del regno dei morti, fa pensare che in origine si trattasse di una specie di percorso per tentare di far tornare in vita i propri cari o di ritrovare la parte di sé stesso che era morta con loro. Infatti prima di entrare negli inferi Eracle si fece iniziare ai Misteri di Eleusi, che in teoria permettevano di comprendere i segreti dell’aldilà e di ottenere la vita dopo morte.

Interpretazioni naturalistiche:

I Misteri di Eleusi erano stati instaurati dalla dea madre Demetra, e quindi anche l’ultima fatica, come più o meno tutte quelle precedenti, può essere considerata una prova in cui Ercole (eroe solare che incarna il potere maschile) affronta e padroneggia le forze della natura legate ai culti matriarcali. Anche il numero dodici delle sue fatiche sembra riferirsi ai mesi del calendario solare in uso nelle culture patriarcali (mentre il calendario lunare di quelle matriarcali era di tredici mesi).

Fig. 197. Differenti elementi in una stessa donna-pesce. La Sirenetta Copenaghen (Danimarca)

Miti relativi:

Mentre le sirene greche (come quelle di Ulisse) avevano corpo di uccello, nell’iconografia medievale del nord Europa erano rappresentate come donne-pesce.

Interpretazioni naturalistiche:

Le sirene si potrebbero considerare manifestazioni di forze naturali che provocano la morte, adescando i viaggiatori con il loro canto o scatenando tempeste.

Interpretazioni mistiche:

La morte in mare può anche essere interpretata simbolicamente come un ricongiungimento con la dimensione assoluta e indiscriminata da cui è nato l’universo, anche per analogia con le acque del grembo materno da cui nasce ogni singola persona, ovvero come l’essere riassorbiti nell’inconscio collettivo, rappresentato spesso come una distesa di acque.

Fig. 198. Il vecchio del fuoco. Museo di antropologia Messico.

Miti relativi:

Dovrebbe essere il dio Xihutecutli, il “Signore del Fuoco” della mitologia azteca.

Dati storici:

Ogni mattina si facevano a Xihutecutli offerte di cibi e libazioni e una volta all’anno il fuoco veniva spento in tutte le case e riacceso dai sacerdoti davanti alla sua immagine.

Fig. 199. Le età e la morte di Hans Baldung. Museo del Prado, Madrid (Spagna)

Interpretazioni naturalistiche:

Le tre età qui rappresentate, in forma femminile, sono chiaramente la Fanciullezza, la Maturità e la Vecchiaia. In varie culture, esistevano delle trinità femminili, che a volte erano appunto raffigurate come una giovane fanciulla, una donna matura e una vecchia.

Si tratta della manifestazione dei tre aspetti principali della Dea che incarna il principio femminile, e che può essere vista come dea dell’amore, della fertilità o della morte, incarnando così contemporaneamente le diverse fasi dei cicli della natura. Qui c’è l’aggiunta della personificazione della Morte vera e propria, come momento di annullamento in cui il ciclo si ferma prima di iniziare di nuovo.

Le fasi così suddivise possono anche essere identificate con le quattro stagioni (la fanciulla con la Primavera, la donna con l’Estate, la vecchia con l’Autunno e la Morte con l’Inverno), oppure con le età cosmiche che rappresentano in modo analogo il procedere per cicli dell’evoluzione Umana e che si ritrovano sia in Grecia (Età dell’Oro, dell’Argento, del Bronzo e del Ferro) che in India (Krita Yuga, Treta Yuga, Dvapara Yuga e Kali Yuga).

Fig. 200. Testa di satiro giovane, sec. II^. Museo Archeologico di Tarragona (Spagna)

Dati storici:

Nei miti greci più antichi, i satiri erano simboli della natura selvaggia e delle passioni brutali (vedi nota alla figura 151), ma gli Ateniesi ne ingentilirono gradualmente il carattere e li modificarono anche nell’aspetto, finché, all’epoca dell’Impero Romano, del loro aspetto animalesco originario non rimasero che le orecchie a punta e due piccole corna, nascoste tra i capelli. Alla fine la parola satiro entrò nell’uso comune anche per indicare semplici esseri umani licenziosi, del tutto privi di prerogative divine.

Fig. 201. La Sibilla Cumana (dettaglio). Cappella Sistina. Vaticano.

Dati storici:

Quella cumana la più famosa delle sibille, le sacerdotesse che nella tradizione greco-romana facevano profezie ispirate dagli dèi. Risiedeva in una grotta presso Cuma e di solito dava i suoi responsi scrivendoli su foglie che il vento scompigliava o disperdeva in parte, rendendo quasi impossibile dare un senso alle frasi. A volte rispondeva anche parlando, ma sempre in modo ambiguo, da cui l’espressione “sibillino” per indicare qualcosa di poco chiaro. A lei erano attribuiti i Libri Sibillini, una raccolta di responsi e sentenze di cui il Senato romano si serviva come strumento di governo, interpretandoli in relazione al destino di Roma.

Miti relativi:

Secondo la leggenda, la Sibilla Cumana era stata amante di Apollo, che le concesse di vivere tanti anni quanti i granelli di sabbia che teneva in mano, ma non pensò a chiedere l’eterna giovinezza. Per questo è rappresentata come una vecchia decrepita.

Interpretazioni storiche:

Le profezie delle sibille costituiscono probabilmente la sopravvivenza in epoca storica di culti matriarcali arcaici, in cui il potere e l’autorità spirituale era appannaggio principalmente delle donne. Le grotte in cui le sibille davano i loro responsi potevano essere stati in origine antichi santuari della Grande Madre o del dio Serpente (che rappresentavano le forze della terra, della natura e della sessualità), poi sostituiti dagli dèi olimpici.

Fig. 202. Coatlicue, Dea della morte e della rigenerazione. Museo di antropologia del Messico.

(Vedi nota alla Figura 59)

Fig. 203. l Kuan-Yin cinese. Trasformazione del bodhisatva Avalokitesvara in figura femminile, Rijksmusum (Olanda)

Paralleli culturali:

Avalokiteshvara, il bodhisattva della compassione infinita (vedi note alle figure 56 e 57), era originario del Tibet, dove era rappresentato come divinità maschile, ma in Cina, e poi in Giappone, assunse sembianze femminili prendendo il nome di Kuan-yin, forse in conseguenza di influenze tantriche (poiché in queste tradizioni la saggezza e le altre prerogative del Buddha erano personificate in forma femminile), o più semplicemente per sovrapposizione con una divinità locale che, anche se di sesso diverso, incarnava lo stesso principio (visto anche che la dolcezza di un’immagine femminile si adatta di più a rappresentare la compassione).

Miti relativi:

Secondo la tradizione del Buddhismo cinese, Kuan-yin era una delle figlie del re Miao-chung, che si ritirò in monastero contro la volontà del padre, ma questo, adiratosi per la disobbedienza, la fece uccidere. Una volta all’inferno, Kuan-yin soccorse amorevolmente i dannati, trasformandolo in un paradiso. Perciò Yama, il re dei morti, la lasciò tornare sulla Terra.

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