Il simbolo nello spazio, dal punto di vista della percezione visiva, ci fa riflettere sul movimento dell’occhio (considerando che quello che succede nell’occhio, succede concomitantemente nello psichismo), e dal movimento dell’occhio possiamo determinare la mobilità interna dei registri psicologici.
La visione di un punto senza riferimento fa muovere gli occhi in tutte le direzioni.
Empiricamente: situando un punto luminoso in una abitazione oscura, dopo un po’ di tempo lo sguardo si muove a zigzag. In realtà, si tratta di una illusione; la stessa che appare di notte quando si osserva una stella brillante e si ha l’impressione che questa si sia spostando a zigzag, arrivando in alcuni casi a conclusioni che non corrispondono alla realtà osservata.
Guardando un punto senza riferimenti, senza parametri, nello spazio di rappresentazione interno quel punto agirà nello stesso modo nello spazio esterno, anche se l’occhio è alla ricerca di parametri percettivi per poterlo inquadrare. Sia nella rappresentazione esterna che in quella interna, si cercano riferimenti, nei limiti dello “schermo” di rappresentazione. Il punto sale, scende, si muove da un lato all’altro e, facendo uno sforzo, è possibile anche che si mantenga fisso, ma immediatamente è percettibile la forza che si esercita internamente nel ricercare dei riferimenti all’interno dello spazio mentale.
2) La linea orizzontale conduce l’occhio in quella direzione ininterrottamente e senza grande sforzo (figura 26 – b)
3) La linea verticale (figura 26 – c) muove l’occhio come se seguisse la figura dell’essere umano, dal basso verso l’alto. Il movimento dell’occhio verso l’alto provoca tensione, fatica e sonnolenza. Questo accade in quanto la struttura interna dello spazio corrisponde alla configurazione dell’occhio, e questo comporta maggiori difficoltà nello spostamento dell’immagine. E’ più faticoso questo spostamento in quanto non avviene in uno stesso punto ma in livelli differenti dello spazio di rappresentazione. Questo è conseguenza dell’attività di molti fenomeni, di cariche interne che corrispondono ai differenti livelli dello spazio di rappresentazione. Quindi l’occhio può spostarsi più facilmente su una linea orizzontale, che sulla linea verticale dove incontrerà maggiori difficoltà e più la linea sale, e maggiori saranno le limitazioni nel seguirla.
4) Quando due linee si incrociano (figura 26 – d), l’occhio, va verso il punto di incontro e vi rimane inquadrato.
5) La curva porta l’occhio ad includere spazio, provoca la sensazione di limite tra ciò che sta al suo interno e ciò che sta al suo esterno, facendo scorrere l’occhio verso lo spazio incluso nell’arco. (figura 26 – e) . Vediamo un piccolo esercizio: cerchiamo di registrare lo spazio di rappresentazione interno, facendolo coincidere con un circolo. Cerchiamo ora di convertire il cerchio in una sfera collocandola nei limiti della rappresentazione. Se riuscite a farlo, vi vedrete inclusi all’interno di essa. E se poi “stirate ” la sfera, dandole la forma di un ovale a due punte, di una “mandorla”, si noterà l’apparizione di tensioni dirette verso le punte nello stesso modo in cui rappresentavate la linea verticale. Se, infine, dopo avere registrato lo spazio di rappresentazione, lo aprite verso l’esterno, invece di chiuderlo in un circolo, sperimenterete qualcosa di simile ad una perdita di interiorità.
6) L’incrocio tra due curve fissa l’occhio, facendo sorgere nuovamente il punto(figura 26 – f)
7) L’incrocio tra una curva e una retta fissa il punto centrale e rompe l’isolamento fra lo spazio incluso nell’arco e quello escluso (figura 26-g). Questo caso mette in comunicazione l’occhio con spazi differenti.
8) Le rette spezzate interrompono lo spostamento per inerzia dell’occhio e richiedono un aumento della tensione nel guardare (figura 27 – a)
Lo stesso vale per gli archi discontinui (figura 27 – b)
9) La ripetizione di segmenti uguali di rette o di curve discontinue (figura 27 – c) colloca nuovamente il movimento dell’occhio in un sistema di inerzia. Pertanto, la tensione relativa all’atto del guardare diminuisce e si verifica una distensione, determinando un ritmo a cui corrisponde un registro interno di piacere. Esistono numerosi casi basati su questo principio soprattutto nella musica e nella decorazione pittorica.
Se osservate i registri interni quando sviluppate delle rappresentazioni ritmiche, comproverete che esse producono una particolare sensazione di compensazione tra i punti alti e quelli bassi dello spazio di rappresentazione, una sensazione di grande equilibrio.
10) Quando rette e curve si collegano tra loro formando un circuito chiuso sorge il simbolo dell’inquadramento e del campo (figura 27 – d). L’inquadramento interno più amplio è costituito dai limiti dello spazio di rappresentazione. Ciò che è contenuto all’interno di questo inquadramento maggiore è il campo di rappresentazione.
Quando nello spazio di rappresentazione appare un simbolo qualunque, per esempio un quadrato, i lati costituiscono i limiti di tale simbolo e all’interno di essi si forma il campo. Se nel campo collochiamo un altro oggetto, noteremo l’apparizione di distinti sistemi di tensione che dipendono dalla posizione che l’oggetto ha assunto rispetto ai limiti del simbolo. L’oggetto si può trovare più o meno vicino ad una retta discontinua, cioè ad un angolo del quadrato oppure equidistante da tutti gli angoli.
In questo secondo caso, noterete una specie di equilibrio, negli altri invece un certo squilibrio. Potete anche togliere l’oggetto dal quadrato e collocarlo fuori di questo. In tal caso, noterete che esso appare escluso dal sistema chiuso costituito dal quadrato e vi sembrerà quasi che faccia uno sforzo per esservi incluso.
Come vedete, i sistemi di tensione possiedono delle strane proprietà. Così a volte succede che le persone che per qualche motivo devono rimanere al di fuori di un determinato ambito, sperimentino una tensione del tipo che abbiamo appena descritto e premano per essere ammesse nell’ambito da cui si trovano escluse. E questa tensione, come altri fenomeni corrisponde ad un registro interno determinato dalla posizione spaziale.
11) Quando rette e curve si separano da un circuito, sorge il simbolo del centro in espansione oppure quello del movimento verso il centro (figura 27 – e)
12) Una figura geometrica elementare funziona come riferimento di centri manifesti. Esistono anche centri taciti i quali si distinguono da quelli manifesti, prodotti dall’incrocio di due o più linee, per il fatto che l’occhio si dirige verso di essi senza l’aiuto direzionale fornito da linee. Questo si deve all’equilibrio che si crea tra le tensioni che sorgono quando si colloca una determinata figura geometrica nello spazio interno di rappresentazione (figura 28).
Dunque, un centro tacito sorge nel punto di equilibrio delle tensioni.
Se per esempio ora colloco un quadrato nel mio spazio di rappresentazione la mia visione interna si muoverà in varie direzioni anche se il quadrato è vuoto: prima verso un angolo poi verso un altro finche’ arriverà ad un punto in cui potrà mantenersi stabile. Questo è il centro tacito che coincide con il centro del quadrato, ed è tale perché è equidistante dai quattro angoli.
E’ come se disegnassi un quadrato (parliamo ora di spazio esterno) e vi tracciassi le diagonali. Dove esse si intersecano si trova il centro tacito che diventa manifesto nel momento in cui vi colloco il punto. I centri manifesti sorgono quando curve o linee rette si intersecano e la visione cessa di scorrere.
I centri taciti, invece, operano “come se ” esistessero, “come se” fossero già posti. Essi non esistono, ma esiste il registro di “ristagno”, per così dire, di sospensione della dinamica della rappresentazione interna. Tornando al caso di prima, il centro tacito esiste nel quadrato anche se non vi si trova collocato un punto.
13) Nel circolo non esistono centri manifesti, esiste solamente un centro tacito e questo provoca un movimento generale verso tale centro. E’ facile notare questo fenomeno se si studia la rappresentazione del circolo (figura 28)
14) Nel punto esiste un centro manifesto. In pratica il punto è il centro manifesto per eccellenza. Ma poiché, come è evidente, non esiste ne inquadramento ne centro tacito, un tale centro manifesto si sposta in tutte le direzioni (figura 28)
15) Quando un simbolo ne include un altro nel suo campo, il secondo funziona da centro manifesto essendo indifferente il luogo da dove questo simbolo è ubicato (figura 28)
16) I centri manifesti attraggono lo sguardo verso di sé, mentre il vuoto possiede centro tacito. Se si fissa il centro tacito come centro manifesto, sorge il simbolo incluso, ed il primo si converte in inquadramento. Un centro manifesto collocato nello spazio di rappresentazione interna attrae verso di sé tutte le tensioni dello psichismo (figura 28). Nel cerchio, non essendoci centri manifesti, l’occhio si sposta da tutte le direzioni verso il centro, rimanendo solo l’inquadramento ed il centro tacito verso il quale si sposta lo sguardo (figura 29 – c)
17) Due centri di tensione provocano vuoto nel centro tacito, facendo spostare la visione prima verso i poli e poi verso il centro del vuoto. Oppure verso il centro del vuoto e da lì verso i centri manifesti. Il “taglio”, la separazione tra i due poli, produce una grande tensione (Figura 29 – d)
18) Tutti i simboli collocati nel campo di un altro simbolo che funziona da inquadramento sono in rapporto tra di loro. Colloco un quadrato nel mio spazio di rappresentazione e lo riempio di piccoli circoli e triangoli. Questi simboli sono interdipendenti, relazionati l’uno con l’altro, per cui costituiscono una struttura all’interno del quadrato. Appena ne tolgo uno e lo colloco all’esterno del campo, si stabilisce una strana tensione tra di esso e l’insieme. E’ come se al simbolo escluso venisse a mancare qualcosa, è come se cercasse di essere nuovamente inserito nell´insieme. Quando questo succede, la tensione sparisce. (figura 29 – e)
Nello spazio di rappresentazione, che costituisce il campo, che è inoltre il contenente più ampio, succede la stessa cosa. Logicamente tutti i contenuti di coscienza, tutte le immagini, tendono ad esservi inclusi. E di quelli che non possono esserlo, in linea di principio non sono in grado di parlare perché non li percepisco. Ma se ci fossero delle sensazioni subliminali (chiamiamole così), anch’esse tenderebbero a riempire lo spazio di rappresentazione. E questo produrrebbe un registro di distensione delle tensioni interne presenti in altri livelli di coscienza.
Nel mio spazio di rappresentazione può esistere una determinata immagine che impedisce l’avvicinamento di altre immagini; oppure può esistere un grande vuoto che fa sì che altri contenuti entrino facilmente nel campo.
19) Il rapporto tra i simboli esterni ad un inquadramento esiste solo in quanto ciascuno di essi fa riferimento all’inquadramento (figura 29 – f).
Quando è presente un inquadramento ed appaiono dei simboli esterni ad esso, tali simboli esistono in funzione dell’inquadramento stesso. Supponiamo che questi simboli siano delle persone. Queste, pur registrando se stesse come esistenti in sé, in realtà hanno esistenza solo in funzione dell’inquadramento che dà loro una certa immobilità, una certa stabilità. Se non fosse così, se esistessero veramente in sé, possederebbero una dinamica propria. Invece, l’inquadramento, nonostante ne siano escluse, costituisce per esse un riferimento. Il rapporto con il sistema di riferimento può essere dialettico o di ricerca, ma in ogni caso, ciò che esse percepiscono come “in sé” dipende dall’inquadramento e quindi non esiste come tale
20) Un simbolo può fungere da inquadramento di un allegoria o di un segno. Lo stesso vale per un’allegoria o per un segno nei confronti degli altri due termini. Tutti e tre possono anche servire da legame tra inquadramenti (figura 30)
21) Nel caso dell’occhio, un ritmo può a volte servire agli effetti dell’ornamentazione o della decorazione generale di tutto l’insieme (figura 31)
22) Le aperture nei simboli chiusi costituiscono legami del campo con l’ambiente esterno oltre che rotture nella continuità dell’inquadramento. Se immagino un quadrato e poi ne rompo un lato in un punto qualsiasi, il mio spazio di rappresentazione penetra nel quadrato oppure, ed è lo stesso, il campo di quest’ultimo viene a comunicare con lo spazio generale della rappresentazione.
Quindi una rottura è in realtà un legame. Quando un inquadramento si rompe, i centri manifesti tendono a diventare interni a causa dello sforzo compiuto dall’occhio per integrare la figura in struttura; come conseguenza, il simbolo centrale si rinforza.
Questo ci dice che, quando una determinata immagine, per esempio un quadrato, posta nello spazio di rappresentazione, viene rotta in più punti, la conseguenza è un rafforzamento del suo centro. Trasponendo il discorso sul piano psicologico, è come se qualcuno dicesse di aver paura di perdere la propria identità, di subire una rottura della propria immagine interna. E’ come se il centro del quadrato, il centro tacito che dà coesione alla figura, si rinforzasse proprio nel momento in cui quest´ultima si lega all’ambiente che la circonda. Se non fosse così, la figura svanirebbe, si disintegrerebbe.
E’ chiaro che questo esige una tensione maggiore nella rappresentazione: se ne ho rotto parte dei lati, come potrò dare unità al quadrato? Avrò bisogno di effettuare un´operazione di strutturazione. Infatti, i lati tagliati possono risultare uniti solo nella rappresentazione. Se faccio tutto questo su un pezzo di carta, la cosa risulta facile: il disegno non possiede dinamica e allora il mio occhio salta in corrispondenza del segmento che manca e compie un’integrazione della figura. Ma se la rappresentazione è interna, quando provoco rotture nei lati del quadrato immaginato e lo spazio interno e quello esterno entrano in comunicazione, la mia coscienza strutturatrice è costretta ad aumentare la tensione tra i diversi segmenti interrotti per dar loro unità.
Il registro interno di questa operazione è più doloroso di quello che corrisponde alla rappresentazione di un quadrato integro e stabile. Dunque la rottura del contorno di un simbolo rappresentato comporta un aumento di tensione ed un rafforzamento del centro. Se trasponiamo questo discorso ad un altro campo, potremmo per esempio dire che ad una maggiore disintegrazione dell’io corrisponde una maggiore nozione e rafforzamento dell’io stesso. Questo rafforzamento viene sperimentato come tensione interna per non perdere la propria unità e quindi come dolore. Ma questa è una considerazione eccessiva per il tema che stiamo trattando.
Quando l’inquadramento si rompe, i centri manifesti tendono a diventare interni a causa dello sforzo richiesto all’occhio per integrare la figura; come conseguenza, il simbolo centrale si rinforza. (fig.32)
23) Le curve concentrano la visione verso il centro e le punte disperdono l’attenzione fuori del campo.
Se nello spazio di rappresentazione colloco un punto centrale a cui aggiungo delle punte che si dipartono da esso, il mio registro interno è centrifugo.
Quando più avanti, studiando l’Allegorica, incontreremo difensori che portano degli oggetti appuntiti o in generale immagini dove appaiono punte, comproveremo che questo tipo di visione interna produce un rifiuto dell’immagine, un involgimento dell’attività della coscienza.
La stessa cosa succede all’occhio (fig. 33,34, e 35)
24) In queste considerazioni sul simbolo, per ora non diamo importanza al colore.
Ma anche se non modifica l’essenza del simbolo – un quadrato rosso, giallo o verde, ai fini del nostro studio è sempre un quadrato – il colore vi introduce modulazioni, graduazioni.
Osservate i vostri registri quando cambia il colore del quadrato rappresentato. Dentro di voi il quadrato prende un calore, una risonanza diversa a seconda del colore che gli date. Ma è chiaro che il quadrato rimane un quadrato.
25) L’araldica, i blasoni e l’ornamentazione sono casi particolari della simbolica in cui il segno e l’allegoria acquistano un grande rilievo (fig. 36,37,38, 39 e 40)